Nozze annullate, Lei è omosessuale. Ma sono sposati dal 1990 e hanno tre figli

Nozze annullate, Lei è omosessuale. Ma sono sposati dal 1990 e hanno tre figli

Infermità psichica. Così, la Cassazione ha liquidato la sentenza, per una coppia pugliese, sposata da oltre dieci anni e con tre figli a carico, in cui la moglie ha manifestato una evidente propensione all’omosessualità. Inutile la protesta del Procuratore Generale: “decisione che non rispetta la libertà sessuale e affettiva della donna”.

Nozze annullate e, con esse, l’esclusione di indissolubilità del vincolo, da parte del marito.

Proprio come in un film

Vengono in mente, senza troppo riflettere, due pellicole che, forse, vale la pena rispolverare. La prima si intitola ‘Cattiva‘ (1991). E’ di Carlo Lizzani e si ispira, vagamente, alle vicende di Sabina Špil’rejnpsicanalista russa. Una tra le prime donne ad esercitare questo genere di professione.

L’altra – più difficile da recuperare – porta la firma di Lina Wertmüller e si intitola: ‘Sotto sotto… strapazzato da anomala passione‘ (1984). Forse ancor più calzante rispetto alla vicenda in questione, narra di una coppia come tante: Oscar ed Ester. I due si amano, finché lei non confessa di nutrire interesse verso… un’altra persona.

E se la prima, magnificamente interpretata dalla protagonista Emilia – per l’occasione, Giuliana De Sio – si sofferma sulla descrizione dello squilibrio mentale e su come, ieri come oggi, fosse complicato ‘leggere’ gli accenti – più o meno esacerbati – della mente, la seconda tratta dell’infedeltà – più vagheggiata che altro – di una donna come tante – Veronica Lario – attratta dal suo stesso sesso. E dalla conseguente disperazione di un marito – Enrico Montesano – del tutto impreparato ad un tradimento declinato al femminile.

Delibera “discriminatoria”

Una decisione, secondo il Pg della Suprema Corte – Francesca Cerioni, magistrata specializzata in diritto della famiglia e delle persone – “discriminatoria” della “libertà sessuale e affettiva” della donna. Quest’ultima, stando alla sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale della Puglia e recepita dalla Corte di Appello di Lecce nel 2017, è affetta da “malattia psichica.

Nel respingere la richiesta della Procura di non annullare il matrimonio tra Antonio M. ed Anna P., i supremi giudici della Prima sezione civile della Cassazione hanno escluso di inviare il caso alla Corte Europea dei diritti umani, non ravvisando elementi di discriminazione.

Potenza della contumacia

Hanno poi fatto presente che, sebbene sia tuttora in vigore l’orientamento che esclude la nullità delle nozze durate almeno tre anni, la circostanza che la moglie – parte in causa di questa vicenda – sia rimasta contumace nel giudizio e non si sia lamentata dell’esito, esclude che si possa rimettere mano alla decisione ecclesiastica.

La contumacia non è univocamente indicativa del disinteresse per il risultato della controversia” – ha obiettato il Pg Cerioni, ribadendo che: “il diritto alla vita privata e familiare di Anna P., necessitano della tutela ufficiosa del giudice o, almeno, del Pg, custode dei diritti spiccatamente pubblicistici del procedimento di delibazione“.

Spesso, oltretutto, dietro la contumacia, si nasconde il soggetto più debole, quello che, anche economicamente, ha bisogno di salvaguardare la propria posizione. Niente da fare.

Nessuna reazione da parte della diretta interessata? Nessun “contrasto con i principi dell’ordine pubblico italiano“. Il verdetto del tribunale ecclesiastico ha ritenuto Anna “incapace” ad assumere “gli obblighi essenziali del matrimonio, per cause di natura psichica“.

Un’unione durata oltre 10 anni

La celebrazione in Chiesa, con tanto di abito bianco, nel 1990, un legame di dieci anni e la nascita di ben tre figli nulla hanno potuto, di fronte all’ipotesi della “simulazione” da parte di Anna che, a lungo andare, avrebbe manifestato “una crescente insofferenza per la vita coniugale“.

Una battaglia, l’ennesima, contro il “pregiudizio“. “Affetta da disturbo grave della personalità“, è stato detto di Anna; da una “malattia” che “avrebbe minato il suo consenso“. Come se essere ‘diversa’ dovesse, per necessità, equipararsi all’etichetta di sbagliata, inadeguata, imperfetta.

Eccoci qui, ancora una volta a giudicare qualcosa che, forse, è troppo più grande di noi per poterlo comprendere. Ancora una volta, preferiamo chiudere gli occhi, voltare le spalle. Del resto, è più facile, più comodo, e richiede meno fatica.

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