Così nacque ‘Hotel Supramonte’, storia di un dolore mai dimenticato…

Così nacque ‘Hotel Supramonte’, storia di un dolore mai dimenticato…

Era sul finire degli anni ’70, quando il segno del ‘comando’ non si vestiva di colletti bianchi, ma parlava attraverso il fuoco delle armi. Ed era, per la precisione, il 27 agosto 1979, quando Fabrizio De André e Dori Ghezzi – fucile puntato alla testa Lui, altri due uomini armati su di Lei – vennero sequestrati. Prelevati dalla loro abitazione di Tempio Pausania, nella regione sarda della Gallura. Una vicenda sconvolgente.

I FATTI

La prima a svegliarsi, quella notte, fu Dori. Erano circa le 23.00 e la coppia, dopo una giornata in famiglia, si era da poco messa a letto, quando la donna sentì qualcuno salire di corsa le scale. “Fummo presi e fatti scendere al piano terra…“, ha raccontato, in seguito. Non mancando di aggiungere che, dalla casa, venne portato via anche il fucile Winchester, che Fabrizio teneva nella sua camera da letto e una confezione di munizioni.

Tempi bui, in cui il banditismo era in pieno fermento e i rapiti, sull’isola, come riportava la penna illustre di Alberto Pinna, erano già a quota dieci. “Il numero delle vittime sa di bollettino di guerra” scriveva, allora, il giornalista, mentre raccontava del sequestro.

IL PROLOGO

Tutto era cominciato tre anni prima. De André si riteneva afflitto, sin dal 1968, da quello che egli stesso aveva ribattezzato:il male sardo’, una sorta di saudade, in versione ‘nostrana’. La malinconia che lo invadeva, ogni qual volta si allontanava dalle suggestioni di cui era capace il ritaglio di terra, preziosa Perla del Mediterraneo.

Così, in accordo con la compagna, avevano acquistato, nel 1976, un appezzamento. 151 ettari, ripartiti in tre lembi distinti: Donna Maria, alle pendici del Monte Limbara, L’Agnata e Tanca Manna. A l’Agnata, nello specifico, i due recuperarono e ristrutturarono un vecchio stazzo, adagiato a fondo valle. “Questo luogo è una magia, dà tanta gioia per l’anima…”, asseriva, allora, il cantautore. Presto, nella fattoria, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo.

L’EPILOGO

Oltre 100 giorni – cronaca vuole – prima che venissero liberati. Dori, il 20 dicembre, a pochi km da Alà dei Sardi. Il 21 dicembre fu, invece, la volta di Faber. “Aspettammo tante, tantissime ore vicino ad una strada, nascosti tra i cespugli, fino a notte inoltrata...”. Un reportage, quello della Ghezzi, a cui si unisce il successivo, in linea, di Fabrizio.

I due furono rilasciati, a seguito del pagamento del riscatto: 600 milioni di lire. De André ha poi ricordato, di quei giorni: “Durante il rapimento mi aiutò la fede negli uomini, proprio dove latitava la fede in Dio.” E, in effeti, di uomini se ne impiegarono… dall’intera Penisola furoni inviati fior di rinforzi. Persino il Generale Dalla Chiesa, stretto amico di famiglia dei De Andrè, si smobilitò, per spingere ulteriormente le indagini…

PER ODIO… PER AMORE

Quei mesi, tuttavia, non portarono solo dolore. Hotel Supramonte, brano contenuto nell’album L’indiano, pubblicato nel 1981, ricava le sue radici proprio nei frangenti di cui sopra.

Da narratore quale era, Fabrizio aveva, ancora una volta, sublimato la sofferenza, per offrirla al suo pubblico. Cantava del suo ‘signore distratto‘, il tempo, che sembrava averlo dimenticato, nei momenti della prigionia. “Passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore…”

Così è stato. La pioggia è passata; il dolore, con essa: “Capiamo i banditi e le ragioni per cui agiscono in quel modo”, spiegherà – più in là – lo stesso De André. Ma qualcosa è rimasto, di solido, di immortale.

Certe parole sanno ‘parlare’ più di altre, perché si vestono di memoria. Così quelle, intramontabili, che si ‘consacrano’ sui frammenti di paura. Eppure scivolano, lievi e sottili e, intanto che fluiscono, quasi gentili, si regalano al mondo. Concrete, vere, sempiterne:

Cosa importa se sono caduto, se sono lontano
Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
Perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole..
.”

LEGGI ANCHE: ‘Following a bird’… così vola via Ezio Bosso

LEGGI ANCHE: ‘Ciao Ennio’, dolce Maestro che ci hai fatto sognare

Commento all'articolo