Hemingway e quei suoi scritti… pregni di errori

Hemingway e quei suoi scritti… pregni di errori

Gli scritti pubblicati da Ernest Hemingway sono pieni di errori. Centinaia di strafalcioni, merito – o colpa – non certo dell’autore (tra l’altro, meticoloso revisore), bensì dei suoi redattori, evidentemente, non altrettanto affidabili.

A rivelarlo, uno tra i massimi studiosi dell’opera dell’illustre scrittore, Robert W. Trogdon, che si è occupato di mettere a confronto i manoscritti originali con il loro esito editoriale. Nella trascrizione, refusi, nomi sbagliati ed equivoci lessicali non si contano. Anzi, si contano – purtroppo – come fa sapere lo stesso, “a centinaia“. Tanto, da spingere l’esperto a chiedere “edizioni più accurate“.

Sebbene molti siano di lieve entità, prosegue il professore britannico, si tratta comunque di inesattezze, attributo, nella fattispecie, di redattori – per l’appunto – e/o tipografi.

Dove sono finiti i ‘correttori di bozza’?

Stando alla verifica – per citare un esempio – in un’edizione di Fiesta, celebre romanzo del ’26, tra i vari personaggi, il torero ‘Marcial Lalanda‘ assume il nome di ‘Marcial Salanda‘. Sviste involontarie, sottolinea lo stesso professore.

Ancora, i tipografi “hanno cambiato la punteggiatura di Hemingway e i tempi dei verbi“. Nel racconto, del 1933, The Light of the World, la frase “Continuava a ridere e tremare“, nella versione originale, recita, invece: “Continua a ridere e tremare“. In ‘I quarantanove racconti‘, ce n’è uno, in particolare: ‘Cinquanta bigliettoni‘, in cui il testo narrativo risulta infarcito da un’isteria grammaticale, non indifferente. Presente e passato remoto si alternano in maniera compulsiva, sistematica, seguendo una logica piuttosto disordinata, per non dire, addirittura, spericolata; in totale nochalance.

E c’è perfino chi, con tono più serio, lancia strali e sostiene che la penna de ‘Il vecchio e il mare‘ non conoscesse le coniugazioni.

Fortunatamente, per la maggior parte dei manoscritti, a tutela del premio Nobel, esiste un testo, conservato nella Biblioteca e Museo presidenziale John F. Kennedy di Boston, in cui è riposta – per così dire – la verità. Tuttavia, qualora l’analisi dovesse risultare confermata, potrebbe trattarsi delle cantonate di copiatura più clamorose, dal Medioevo ad oggi.

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