A tavola ancora carne: questa volta parliamo di frollatura

A tavola ancora carne: questa volta parliamo di frollatura

Eccenzion fatta per chi decide di intraprendere percorsi differenti – e nulla in contrario – la carne ci piace. Gustosa, ricca di proteine… un tempo rappresentava il piatto ‘ricco’ della tavola. I modi per assaporarla sono innumerevoli. Si va dalla cottura alla brace al lesso, dallo stracotto alla panatura, al forno… Ma per conoscere più a fondo il prodotto bisogna fare un passo indietro e procedere per gradi.

Sapete tutti – e se ne sente spesso parlare – cosa sia la frollatura?

Trattasi del procedimento – appunto – tramite cui la carne viene fatta maturare, all’interno di ambienti che rientrano in una serie di parametri rigidamente standardizzati: temperatura, umidità, ph, ecc… Un trattamento, mirato ad ammorbidirne le fibre e renderle più tenere. Una maturazione lenta, in cella, al fine di intensificare anche il gusto e aumentare il grado di digeribilità.

Un passo indispensabile, dato che, dopo la macellazione, entrano in gioco una serie di reazioni biologiche e chimico/fisiche, che provocano un naturale irrigidimento.

Per capirci meglio, quanto più lungo è il periodo di frollatura, tanto maggiore apparirà la qualità di quanto mettiamo sul piatto. Ma, a tal proposito, le variabili di cui tener conto sono diverse.

Va considerata:

  • la razza dell’animale selezionato
  • la grandezza
  • il taglio della carne
  • la quantità di grasso

Estrema attenzione va anche prestata alla qualità della carne. Il procedimento di frollatura evidenzia i pregi, come i difetti.

Siete ancora curiosi? Vi va di ascoltare come funziona? Sappiate, allora, che ogni macellaio possiede il proprio metodo – piuttosto empirico ma gelosamente custodito – frutto soprattutto dell’esperienza.

E se, per quanto concerne le frollature brevi (vd. il sottovuoto), la carne viene direttamente sezionata in tagli piccoli. Lo stesso processo, ‘all’antica’ – meglio conosciuto come frollatura a secco – rappresenta una vera e propria forma d’arte.

La prima, dunque, segue il principio secondo il quale, in assenza di ossigeno, la carne tende ad espellere parte dei propri liquidi. L’ambiente umido – in sostanza – accelera i tempi, facendo sì che la carne rimanga immersa nei suoi stessi succhi.

La stagionatura, che prende anche il nome di frollatura umida consiste, in realtà, in una sorta di macerazione. Assai in uso, in Italia, attorno ai primi anni ’90, secondo le catene di grande distribuzione rappresentava il sistema più rapido, economico e pratico per permettere la commercializzazione del prodotto, su larga scala.

Diverso è avere a che fare con la seconda tecnica, che gli inglesi, avvezzi, identificano con il termine dry-aging.

Qui entrano in gioco temperature interne delle celle, tasso di umidità, ossigenazione e tempo, a seconda della razza, delle dimensioni dell’animale, delle fibre e dalle percentuali di grasso contenute.

Un processo di invecchiamento che, dalla prima settimana, si allunga fino a 120 giorni e in cui la carne risulterà, via via, meno lucente e idratata, ma più tenera e, con il trascorrere dei giorni, assai più saporita.

Di fatto, conoscere le tipologie di carne, capire le differenze tra le razze, saper valutare le percentuali di tessuto connettivo muscolare o adiposo, per capire quali tempistiche e temperature sono le più idonee per la frollatura dei vari pezzi… sono un punto di partenza, non solo irrinunciabile per chi agisce da addetto ai lavori, ma anche un interessante riferimento per quanti, da semplici clienti, si presentano davanti al bancone, con l’intenzione di fare i propri acquisti. In maniera selezionata.

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