Oca in Onto: e a novembre il nord Italia fa Festa

Oca in Onto: e a novembre il nord Italia fa Festa

Castagne ed oca, innaffiate di vino, ecco l’usanza, tutta Padana, per procacciarsi la fortuna. “Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un cuatrin“, ripeteva, poi, un vecchio detto, ad avvalorare ulteriormente la questione.

11 novembre, dunque, riservato, per tradizione… ed un pizzico di superstizione, ad una tra le ricette che meglio illustrano le usanze dell’Italia del nord-est.

Abitudine, che trarrebbe le mosse da una leggenda medievale sulla vita del Santo. Pare che quest’ultimo, nel 371, nonostante, per volontà popolare, venisse eletto vescovo di Tours, prendesse armi e bagagli e si ‘nascondesse’ in campagna, preferendo mantenere uno stile di vita parco, da monaco quale era. La strida di un storno d’oche rivelò, tuttavia, agli ‘inseguitori’ il nascondiglio, costringendo infine il ‘nostro’ a cedere alle richieste di chi lo acclamava.

Esiste, tuttavia, una seconda interpretazione, dal timbro assai più pratico. Pare, infatti, che le oche selvatiche siano solite migrare verso sud, all’approssimarsi dell’inverno. Non più tardi dei primi di novembre è facile cacciarle, dunque, per poi, ovviamente, cucinarle.

E ancora, dietro la scelta dell’animale come cibo tipico della Festa pare si annidino le antiche abitudini gastronomiche ereditate dai Celti. Un rito su tutti, quello del Samhain. Ecco allora spiegato il modo in cui le oche siano considerate, vale a dire come a simbolo del Divino, addette a traghettare le anime dei defunti nell’aldilà.

Tuttora, il celebre gioco dell’Oca non fa che ripercorrere le antiche credenze e riproporle attraverso un passatempo la cui fama travalica bel oltre il divertimento.

E così anche pranzi, a base del proverbiale volatile, abbondano in Friuli come in Veneto, in Lombardia come in Romagna. Pensate, presso il paesino di Morsano al Tagliamento, in provincia di Pordenone, si è soliti servire, in questo senso, un’intero menù; a cominciare dal Bottaggio, in abbinamento alla verza e simile, nella preparazione, alla forse più rinomata ‘casoeuola’.

Se è vero , poi, che prosciutti – parsuti, in dialetto – e salumi, soprattutto dove risiedevano le comunità ebraiche, e, in tempi più recenti, anche il paté di fegato, non sono mai mancati, utilizzando tutte le parti del pennuto si realizzava una particolare conserva: l’oca in onto, nata dall’esigenza, come spesso accadeva in passato, di conservare le carni molti mesi (in questo caso si arriva anche ad un paio di anni). L’altra faccia di ciò che in Francia viene definito confit.

Oca in Onto

Quella dell’oca in onto era una produzione invernale, realizzata dalle donne di famiglia, che occupavano i tempi morti della pausa stagionale per preparare conserve di cibo sostanziose da consumare, poi, in estate.

I primi di novembre, oltretutto, rappresentavano anche il momento di chiusura dell’annata agraria, quando, cioè, si facevano i conti con il padrone e in cui, semmai, si festeggiavano i risultati. Ecco, dunque, che quello che veniva considerato il ‘maiale dei poveri‘ era pronto all’uso.

Per la conservazione o in pignatto, che dir si voglia – le oche vengono tuttora separate dalle loro parti grasse e tagliate a pezzetti. Le carni riposano sotto sale per alcuni giorni, oppure le si fa cuocere con erbe, aromi e un poco di vino rosso e, successivamente, si ripongono in un orcio, in terracotta o in vetro. Si estraggono quindi, più in là, alla bisogna, per essere servite come sugo o, in alternativa, come seconda portata. E se, nella versione cruda, si alternano sfilacci di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro, in quella cotta si completa, invece, l’ultimo strato con il grasso fuso e si chiude il vaso.

Per un accompagno ideale, infine, la salsa di cren, con le patate o la peperonata. Immancabile, sia chiaro, una cucchiaiata di polenta ed un sorso di genuino vino rosso, naturalmente veneto.

LEGGI ANCHE: Pizza Scima: benvenuti in terra d’Abruzzo

LEGGI ANCHE: Teteun: quel ‘mangiarin’ niente male, che si gusta al Confine

Commento all'articolo