Bolognese, mica una storia da ridere…

Bolognese, mica una storia da ridere…

Tutti ne parlano. Tutti, anzi, accomodati a tavola, ne fanno scorpacciate. Come resistere, del resto, ad una tra le portate ‘tricolori’, al pari della Bandiera Nazionale? Pop, opulenta come le radici che porta indosso. Come la Bologna ‘dotta e grassa‘ che, sapientemente, l’ha cresciuta e ne ha mantenuta viva la tradizione, di generazione in generazione. E se la città era già rinomata, sul principiare del ‘700, per via dei suoi salumi, il celebre ragù non fece altro che accreditarla, nella seconda metà dell’800, come patria di una tra le ricette più goduriose di tutti i tempi.

Maccheroni alla Bolognese: così li celebrava, nel 1891, Pellegrino Artusi, all’interno della prima edizione de ‘La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene‘. Un saporito ragù di vitello, privo di pomodoro che, da Bologna, apriva – in quel frangente – i confini della notorietà ,verso destinazioni ‘esotiche’. Se non fosse che, sia pur secondo un differente codice, ‘la Bolognese’ già esisteva, anche sull’altra sponda dell’Atlantico.

Aggiungiamoci gli spinaci…

Le fonti, tutte di matrice statunitense, consistono in un ricettario: The cook book, by ‘Oscar’ of the Waldorf  scritto, nel 1896, da Oscar Tschirky, celebre maître del ristorante Delmonico’s e successivamente del Waldorf-Astoria Hotel, a Manhattan.

Macaroni, Bolognese Style altro non rappresenta,se non una pasta al forno (maccheroni o lasagne) condita a strati, con spinaci tritati al sugo di carne e arricchita da parmigiano.

L’altra pubblicazione la si rintraccia tra le pagine di un mensile, dedicato agli alberghi di Chicago. La data, nel caso a seguire, viene individuata nel 1908, quando i Macaroni with spinach à la Bolognese compaiono tra le varie proposte del listino, scalzate, tuttavia, in seguito, dalla più moderna interpretazione.

Le pubblica, così eseguite, del resto, nel 1851, Il cuciniere italiano moderno e, in maniera similare, la raccolta casalinga dei modenesi conti Valdrighi.

Posto che vai… abitudini che trovi

Così, se nelle Americhe gli spinaci proseguivano a fare da ‘sottofondo’, nello Stivale già il sapore succulento delle pappardelle al ragù, nell’accezione che conosciamo, si faceva largo. Una delle prime testimonianze la fornisce il Tenente colonnello Newman-Davis, nel suo The gourmet’s guide to Europe, del 1903, in cui, tra le numerose specialità delle molte città europee visitate, non manca di citare la rinomata variante “al ragout”, con carne macinata e “alla Bolognese”, appunto, con il prosciutto tritato.

Ben diversa è la finalità con cui lo stesso piatto venne riproposto, sempre Oltreoceano, a ‘900 inoltrato. Nel 1917, per la precisione, Julia Lovejoy Cuniberti diede alle stampe il suo Practical Italian recipes for American kitchens, al fine di raccogliere fondi da destinare alle famiglie delle truppe italiane, che combattevano nella Prima Guerra Mondiale.

Tra le numerose pietanze, figurava anche la Bolognese sauce for macaroni, che originariamente prevedeva un ragù bianco, da abbinare ai maccheroni o, al più, alle tagliatelle ma che, più in là, si tradusse anche nella rilettura associata agli spaghetti, più facili da eseguire, per via della scarsa dimestichezza, tra gli Americani, con la pasta fresca. Di fatto, nel 1920, quest’ultimo formato fece la sua apparizione tra i menù dei locali newyorkesi, come l’Hotel Commodore e il ristorante Moneta’s, a partire dal 1931.

Hotel Commodore – 1920

E se, negli States, l’introduzione del pomodoro, dapprima timida, poi più fiduciosa, finì per conformarsi, via via, ad una dimensione di ragù in linea con le esigenze di mercato – accessibile anche classi meno abbienti e già pronto in scatola – in Italia, gli spaghetti così eseguiti nutrirono una scia solo relativa, legati alla necessità di accontentare le aspettative dei turisti stranieri.

Saliva, al contrario, nella storia della gastronomia connazionale, il peso di tagliatelle – gialle o verdi, a preferenza – lasagne e tortellini.

L’evoluzione… con il tonno

L’ultima nata, illustrata anche dall’Accademia italiana della cucina e depositata presso la Camera di Commercio di Bologna, la vuole, anzi la pretende, adesso, a base di tonno. Del resto si sa, ‘a stomaco pieno non si litiga’. Quindi tutti a tavola, che il piatto fuma. Non rimane che assaggiare… 

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