Ivan, il gorilla che sapeva dipingere

Ivan, il gorilla che sapeva dipingere

Intelligenza. Questo concetto non l’ho mai compreso… nel senso, sì, so cosa vuol dire, ma mi sembra talmente naturale che trovo bizzarro metterlo in risalto. Non appartiene forse a tutti? Mi domando, piuttosto, se sia davvero utile…

Sono nato nel 1962, in Congo. All’età di appena 2 anni, insieme a mia sorella, ci hanno presi e portati altrove. Strappati dalla nostra Terra, per essere venduti a quella che sarebbe diventata, a breve, una nuova famiglia. Gli Irwin erano proprietari di un grande magazzino, negli Stati Uniti. Un bel viaggio…

Ivan e sua sorella

Poi, quando mia sorella se ne è andata, sono stato nuovamente trasferito. Stavolta ho alloggiato presso casa Johnston. Erano i proprietari del B&I, sapete, quel negozietto di animali sulla 72esima strada. Oh, tutto legale, non preoccupatevi. Nulla che non fosse accettato dalla legge. Tranne, poi, il fatto che di legge ne esiste un’altra, del cuore, che chiede altrimenti.

Il mio, di cuore, allora, si riteneva appagato. Sono stati giorni intensi, bellissimi… Peccato che, a cinque anni, sono diventato – come dire – ingombrante. Così, ennesima partenza.

Non so se per gli esseri umani sia lo stesso. Vi assicuro che un gorilla, però, funziona così. Vale a dire che, a tratti, in determinate circostanze, l’animo traballa. A volte, perfino, si spezza. Chi mi dovesse attraversare adesso lo sguardo troverebbe un abisso di nostalgia. Un vuoto. E’ tutta la vita che lo sento… sarà forse per essere stato prelevato da quel mio ambiente naturalmente affine…

Ho compreso, nel tempo, che ciascuno dovrebbe perseguire le proprie inclinazioni. Che altrimenti gli ingranaggi smettono di girare come dovrebbero e iniziano a stridere. Insomma, in questo universo schizofrenico, la terza tappa fu il B&I Shopping Centre in South Tacoma Way, questa volta nello stato di Washington. Ci sono rimasto per 27 anni, in quella gabbia di cemento, recintata in un mondo che si declinava 14×14 piedi. E lì si interrompeva. Mangiavo – assurda la vita – gli stessi hamburger che avevo imparato a prezzare, quando ancora mi trovavo a casa.

Intelligenza, forse, è quella sensazione che ti fa sentire di non essere dove dovresti. Che ti avvolge di buio senza che tu possa possa comprenderne il perché. Ma se è così, allora, a cosa serve?

Sapete cosa diceva di me il mio custode? “Ho lavorato con tutti i tipi di animali, ma mai con uno così intelligente come Ivan“. Si, scusate, dimenticavo, il mio nome è Ivan. Così, almeno, hanno voluto identificarmi gli umani perché, altra cosa che ho mancato di dirvi – o forse non l’ho abbastanza sottolineato ma che volete, distrazione… – è che sono un gorilla. Se voleva dipingere lo faceva. Altrimenti, quando non era in giornata, strappava i fogli“. Provate a chiedere, vedrete che vi risponderanno così. Del resto, erano proprio loro a procurarmi i materiali necessari all’impresa.

Insomma, lo avrete capito, il problema resta, al di là dei confini in cui si viene rinchiusi. Così, artificiosamente, per istinto, ho iniziato a liberare l’energia che mi invadeva attraverso la pittura. Davo voce alla mia estemporanea vita da artista. Sublimavo il dolore, per non farlo rimanere sotterrato e silenzioso. Mi devastava.

Buffo, pare che i miei lavori piacessero, e pure parecchio. Si era costituito un vero e proprio mercato a prezzi, tutto sommato, neppure troppo male. La gente era disposta a pagare, pur di possedere una mia creazione. E torniamo, ancora una volta, a quel malizioso significato che diamo alla parola intelligenza. Sarcastico? Ma sì. Ormai ci rido pure sopra…

Di fatto, la Barr ha acquistato molti tra i miei disegni e, di recente, ha perfino organizzato una mostra, presso la biblioteca del Paese. Un modo, mi è stato detto, per ‘riconoscermi il giusto tributo‘. Poi, poco importa che sono quasi tre decenni che non mi muovo da qui. Oh, non che non si sia tentato di fare qualcosa. In mio favore si è mobilitata la Progressive Animal Welfare Society (PAWS). L’Associazione, a tutela dei diritti degli animali, si è mossa nel 1987, avviando una campagna di sensibilizzazione e chiedendo a quante più persone possibili di boicottare – financo – il Centro Commerciale. Pubblicità, tempo, soprattutto… soldi. Tanto ci volle, perché cambiassi residenza.

Lo Zoo di Atlanta, nel 1994, rappresentò l’ulteriore cambiamento. Traumatico. Vi assicuro. E’ vero. Non ero più abituato neppure a tenere i piedi sull’erba. Sentivo quei fili che invadevano le dita, che le accarezzavano, le stuzzicavano… non vi dico che sensazione. Ma se il rapporto con la natura riprendeva il suo filo diretto, non altrettanto poteva dirsi del confrontarmi con gli altri della mia specie. Le femmine mi beffeggiavano. Colpa mia, probabilmente. Di certo non conoscevo l’approccio adeguato. Così, sono rimasto solo, fino alla fine.

Martedì 21 agosto 2012, scoccati i 50 anni, me ne sono andato. E’ successo durante una visita medica, mentre ero ancora sotto anestesia. Un viaggio unico, per non disturbare…

Secondo il referto autoptico avevo un cancro, un grosso tumore al petto. Già, quel posto che a me sembra, tutt’oggi, fare a cazzotti con l’intelligenza. Hanno deciso di farmi cremare. Tutto sommato, mi va bene. Addirittura, se vi trovaste a passare subito fuori il Point Defiance Zoo di Tacoma, potreste ammirare la mia statua in bronzo. Che ne dite? Questa proprio non ve l’aspettavate, vero?

Beh, a dirla tutta, su di me è stato girato pure un film: L’unico e insuperabile Ivan, tratto da un precedente romanzo, sempre basato sulla mia storia, del 2012. Che straordinaria, spesso, l’esistenza, che ti riconosce rispetto e autorevolezza, quando ormai non serve più. Che sia il suo modo di chiederti scusa? La maldestra e distratta maniera per lavarsi la coscienza?

La Disney si è scomodata, per raccontare di me. Uomini e donne interessati a sapere. Io che sono timido, per nascita, vi lascio in credito, allora, la mia storia. E’ il racconto di momenti qualunque. Potrebbe non avere nome né corpo, benché sia realmente esistita. Di certo possiede quei 25 grammi che pesano più di un mattone. Si è ammantata di colore… ed è vostra. Vi appartiene, per mia volontà. Che io, in verità, non l’ho mai posseduta.

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