Quel rito un po’ dimenticato del caffeuccio al bar

Quel rito un po’ dimenticato del caffeuccio al bar

E’ un appuntamento fisso. O, almeno, lo era, fino a neppure troppo tempo fa, per parecchi Italiani. Uno tra i riti più longevi della Penisola che, in quest’ultimo anno – stando ai dati che non fanno altro, del resto, che raccontare le circostanze – è andato via via perdendosi. Tramontato, sotto la scure della pandemia.

Di cosa stiamo parlando? Oh, nulla, almeno a prima vista, di essenziale. Eppure, l’abitudine del caffè fuori casa rappresenta per molti, la significazione di un rito irrinunciabile. La colazione al bar, prima di recarsi in ufficio, scandisce i ritmi della giornata e predispone di buon animo, a fronte delle incombenze in attesa. La medesima bevanda, sorseggiata dopo un pranzo di lavoro al fianco dei colleghi o, magari, quel corretto, per chiudere una cena al ristorante, sono momenti venuti meno, per via di decreti ed ordinanze. Cancellati dall’agenda quotidiana. Un colpo di spugna e chi se li ricorda più… Occasioni precluse, di cui risente non solo chi ne è direttamente privato, ma anche – e molto di più – gli addetti di categoria.

Innegabile l’incremento dei consumi domestici. Ciò non di meno, l’industria del caffè ha dovuto riadattarsi alle nuove esigenze.

Michele Monzini, presidente del Consorzio Promozione Caffè, racconta di un 2020 “difficilissimo. Abbiamo visto nel fuori casa, in particolare nel canale di vendita horeca e nel vending, cali enormi: almeno 40% nel primo; addirittura, 50% nel secondo. Gli unici cresciuti sono i due fronti del retail e dell’e-commerce, aumentati circa del 10%. Non sono stati, però, in grado di compensare le perdite

Nel dettaglio, dai 3,9 miliardi di fatturato del 2019, lo scorso anno, secondo i dati, si stima si sia passati a 3,5 miliardi, con una progressiva riduzione della quota di vendite fuori casa, scese dal 35 al 22%. Numeri importanti, che fotografano un periodo, caratterizzato da un susseguirsi di luci ed ombre.

Di contro, artigianalità, maestria nella tostatura dei chicchi, nella creazione di inedite miscele restano salde. Anzi, si alza l’asticella. “Gli Italiani sono amanti del caffè. Da una ricerca Astra, commissionata proprio dal Consorzio, è emerso che il 98% delle persone intervistate, tra i 18 e i 65 anni, si dichiarano consumatori di caffè e, quasi il 60%, lo considera uno tra i piaceri della vita“.

Un lusso, di cui si è percepita e si sente tuttora la mancanza. Quello speso sorseggiando il liquido fumante e nero è, del resto, un tempo prezioso. Riflette lo stile di vita nostrano, ci rappresenta, da sempre. E la penalizzazione, come da previsioni, ha finito per ripercuotersi soprattutto su chi non era attrezzato per il retail, il cui unico aggrappo è la riapertura della rispettiva attività: “La nostra industria, purtroppo, non ha molti strumenti per uscirne, se non la differenziazione”. Di contro, “c’è la necessità che il fuori casa riparta e parta in maniera definitiva e continuativa. Solo in questo modo tutta la filiera e, quindi, anche i torrefattori avranno modo di riprendere il lavoro“.

Pure le esportazioni, pari quasi al 40% del fatturato, nel 2019, nell’attuale quadro hanno subito una flessione. Ma, proprio dalle vendite all’estero può arrivare una boccata d’ossigeno: “Il caffè italiano, riconosciuto come di alta qualità nel Mondo, ha successo e lo avrà anche in futuro. E’ stata una valvola di sfogo nei momenti di maggiore difficoltà, per il nostro settore. Non scordiamo che questa pandemia ha colpito, più o meno, tutto il Mondo, trasversalmente. In momenti differenti, tutto il Mondo ne ha sofferto. Di sicuro il 2021, attraverso l’export, avrà modo di fornirci segnali positivi“.

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