Nel giorno di Pasqua… a tutta Pastiera

Nel giorno di Pasqua… a tutta Pastiera

Fatevi in là, che qui non ce n’è per nessuno.

Gli ingredienti sono ricchi, i gusti complessi, tanto da indurre a paragonarlo ad un cibo da Re. Invece, per risalire alle origini di questa pietanza prelibata e apprezzata in tutto lo Stivale, bisogna spingersi più addietro, là dove nascono mito e leggenda. Pare, infatti, che la sirena Partenope avesse scelto come dimora il Golfo di Napoli e, da lì, elargisse la melodia della sua voce. In segno di ringraziamento, i cittadini assunsero – dunque – la consuetudine di recarle, di volta in volta, sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, segno di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a significare la fusione tra regno animale e vegetale; i fiori d’arancioprofumo della terra campana; le spezie, omaggio dei vari popoli; infine, lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto, da cui la popolazione veniva ammaliata.

Partenope – si narra – gradì talmente tanto, da decidere di assemblare tra loro gli ingredienti e ricavarne un dolce, dal sapore unico…

Favole, come quelle che vogliono la preparazione collegata ai culti pagani di Cerere e alla rinascita primaverile. L’uovo, in particolare, veniva portato in processione dalle Sacerdotesse della Dea dei raccolti e del grano, madre della Persefone discesa in Ade, per propiziarsi un abbondante raccolto. Mentre l’uso di grano o il farro, misto alla crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro, tipico delle nozze romane: confarreatio.

Dalla tradizione pagana ai tempi cristiani, fino ai conventi. Probabilmente, quello – nello specifico – di San Gregorio Armeno. Si racconta che una suora – più o meno intorno al XVI sec. – volle preparare un dolce, in grado di associare il simbolismo cristianizzato di uova, ricotta e grano, associandoli alle spezie provenienti dall’Asia e all’essenza dei fiori d’arancio, coltivati in giardino.

Verità o frutto della fantasia, si sa per certo che le suore fossero vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni – riportano scrittori e gastronomi – dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente, per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”.

Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, la Regina che non ride mai, consorte del goloso Re bombaFerdinando II di Borbone, si fosse lasciata sfuggire un sorriso, dopo un morso al beneamato pasto. “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera. Ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”, sembra avesse commentato Ferdinando.

Tant’è. La ricetta è stata, con il tempo e come accaduto per molte altre, riveduta, perfezionata, tanto che ogni famiglia, oggi come oggi, può dire la sua. Esistono, tuttavia, una serie di sine qua non, imprescindibili:

  • la frolla è a base di farina, uova, strutto (o burro) e zucchero semolato. Da sistemare sul ruoto, la tipica tortiera in alluminio, dai bordi lisci e leggermente svasati, alta 3-5 cm.
  • per il ripieno, occorrono latte, zucchero, ricotta di pecora, chicchi di grano, burro, frutta candita, uova, vaniglia, vanillina, scorza d’arancia e di limone, acqua di fiori d’arancio e cannella in polvere.

Un primo dubbio riguarda – invece – il grano. Oggi il precotto rappresenta, di gran lunga, la soluzione più pratica, ma per una resa veritiera andrebbero usati i normali chicchi, messi a bagno in acqua tiepida, per diversi giorni. E se alcune ricette, a questi ultimi preferiscono il grano frullato; altre, salomonicamente, si dividono a metà. E, ancora: la cannella compare come elemento facoltativo; nella versione della storica bottega Starace, la ricotta non veniva unita alle uova, ma a una raffinata crema pasticciera.

In ultimo, secondo la tradizione, la Pastiera va preparata il Giovedì Santo e consumata a Pasqua, per dar modo a tutti i sapori di assemblarsi in un unicum.

LA RICETTA ORIGINALE

INGREDIENTI
  • 600 gr farina 00
  • 300 gr strutto
  • 400 gr zucchero semolato
  • 8 uova
  • 500 gr latte
  • 600 gr ricotta di pecora
  • 250 gr grano cotto
  • 100 gr cedro e arancia canditi, a dadini
  • Mezza busta di vanillina
  • Mezzo baccello di vaniglia
  • Acqua di fiori d’arancio
  • Limone
  • Cannella in polvere
  • Sale
  • Arancia
  • Burro

Durata:2 h 30 min

Livello:Medio

Dosi:10 persone

PREPARAZIONE

Lessate il grano in acqua bollente, per 2 ore, poi scolatelo e cuocetelo nel latte, con un tocchetto di cannella, un po’ di scorza di arancia e 1 baccello di vaniglia, finché non avrà assorbito tutto il latte (ci vorranno circa 15 minuti).

In alternativa, potete usate 500 gr di grano cotto già pronto, scaldandolo in 250 gr di latte, utilizzando gli stessi aromi (cannella, arancia e vaniglia), per circa 10-15 minuti. Fate raffreddare il composto.

Impastate in una grande ciotola la farina, lo strutto,150 gr di zucchero e un pizzico di sale, fino ad ottenere un composto sbriciolato. Quindi, unitevi 2 uova e proseguite, lavorando prima con la punta delle dita, poi con le palme delle mani, ricavando un panetto di pasta frolla.

Ponete l’impasto in frigo, in una ciotola sigillata con la pellicola da cucina, per 30 minuti.

Lavorate la ricotta con il resto dello zucchero, aggiungendolo un poco alla volta. Separate 2 uova, tenendo da parte gli albumi e incorporando solo i tuorli nel composto di ricotta. A questo punto, aggiungete le altre 4 uova intere, distintamente, e mescolate bene con la frusta. E’ la volta della scorza grattugiata di limone e di arancia, i canditi e 2 cucchiai di acqua di fiori di arancio.

Eliminate gli aromi dal grano cotto. Montate gli albumi e amalgamateli al composto insieme con il grano cotto, ottenendo così il ripieno. Perché risulti cremoso, potete frullare una parte di grano, prima di aggiungerlo al resto del composto.

Imburrate e infarinate una tortiera (ø 25 cm, h 6 cm), meglio se con la cerniera apribile. Stendete la pasta frolla su un piano infarinato, fino ad ottenere uno spessore di 5 mm. Ricavate due fasce, alte come il bordo della tortiera e abbastanza lunghe da ricoprirne interamente il perimetro. Poi fate un disco, dello stesso diametro del fondo.

Posizionate prima le fasce sul bordo, poi il disco sul fondo e premete bene, per sigillare. Stendete la pasta in eccesso e tagliatela in 10 nastri, larghi 2 cm.

Riempite la frolla con il ripieno, posizionatevi sopra 5 nastri di pasta, in modo che siano equidistanti fra loro, e gli altri 5 sopra i precedenti, ma in obliquo.

Infornate a 170 °C, per 1 ora e 30 minuti. Sfornate e fate raffreddare per almeno 8 ore, in un luogo asciutto. Se lo gradite, potete spolverare il dolce con zucchero a velo, ma soltanto una volta raffreddato, prima di servirlo.

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