Quella Versailles porcellona, schizofrenica tra lusso e sporcizia

Quella Versailles porcellona, schizofrenica tra lusso e sporcizia

Reggia, per come siamo abituati a conoscerla, o latrina, con gli occhi di chi l’ha vissuta in prima persona? Dire Versailles significa addentrarsi in un meandro di stanze e abitacoli, più o meno lussuosi, tuttavia – si stenta a crederlo – essenzialmente sudici. Del resto, la parola igiene mal si adatta alla casistica del 1700.

Lungo le pareti delle sale erano disposte sputacchiere d’argento, di indubbia raffinatezza estetica, ma pur sempre tali. Inesistenti – è risaputo – i servizi igienici, sostituiti, invece, da apposite saggette, impreziosite da fregi d’oro e d’avorio e disseminate, in diversi angoli delle stanze.

E si racconta un aneddoto che, forse più di ogni altro, illumina riguardo alla situazione dell’epoca, sull’argomento. Pare che Luigi XV, nel desiderio di trasformare quella che fino ad allora aveva rappresentato la di Lui camera da letto in salone, arrivasse alla più logica conclusione che lavarsi, per gli anni a seguire, sarebbe stato inutile. “Non mi laverò più“, ebbe a dichiarare. Da quel momento, fino alla sua dipartita, trascorsero 24 anni.

Immedesimatevi, poi, nei panni dei nobili residenti: 3000, anche 4000 persone, compresi i relativi servitori, per un numero di quasi 8000, costretti ad abitare le camere, immacolate, all’apparenza, putride, di fatto, giacché così esigeva il Sovrano, pur di controllare la sua Corte. Un modo, quest’ultimo, per sventare eventuali intrighi.

La constatazione che non vi fossero corridoi e che, per attraversare gli ambienti, fosse necessario incamminarsi tra le varie stanze, rende forse l’idea dell’aria nefasta che vi si potesse respirare. Il Monarca in prima persona era soggetto ad ogni genere di disturbo. E a poco o nulla, se non ad impoverire ulteriormente le finanze del Regno, valse l’introduzione di medici – per lo più ciarlatani – pronti ad escogitare qualsiasi tipo di arzigogolo, per entrare nelle grazie di Sua Maestà. Al Re vennero somministrati – suggerisce la cronaca – ben 2500 clisteri – per un numero di 5 al giorno. Tanto che il lavaggio intestinale, presto, divenne una moda.

Ci si curava, attraverso l’utilizzo di veleni o fantomatici afrodisiaci. Bandita, al contrario, l’acqua che, se non bollita, era ritenuta nociva per la salute. Pare, inoltre, che il Re Sole abbia fatto, nell’arco della sua intera esistenza, 2 soli bagni. Preferendo, piuttosto, lavarsi, ogni 2 giorni, con batuffoli impregnati di alcool etilico.

Stesso dicasi per le nobildonne. Le privilegiate, strano a dirsi, erano le prostitute, uniche dedite alla pulizia delle zone intime. I veri Signori di Versailles? I pidocchi. Le gran dame nascondevano, sotto enormi gonne, un sacchetto apposito che li attirasse. Insieme, ratti, zanzare, freddo e sporcizia la facevano da protagonisti.

Pensate, per il gelo, il vino ghiacciava nei bicchieri e ci fu persino un anno in cui si prese a venderlo in blocchi, talmente le temperature erano rigide. Nonostante i 1000 occhi perennemente puntati addosso, dame e cavalieri non mostravano – tuttavia – remore, nel defecare in qualche anfratto dei lunghi corridoi, mentre facevano anticamera per accedere alla stanze reali. Tanto che, dopo mesi di presenza costante presso quello che, da tutti, era ritenuto il Palazzo dei Sogni, sorgeva l’esigenza di tradurre l’intera Corte in quel del Castello di Marly, per sfuggire ai miasmi, insostenibili.

I cortigiani, del resto, nonostante gli stretti protocolli, languivano in quanto a buone maniere. Si soffiavano il naso nelle tende e, per dissimulare gli odori molesti, facevano uso smodato di talco e profumi, talmente aggressivi da appesantire ulteriormente la situazione.

Se a ciò si aggiunge la spropositata quantità di belletti adoperata per le operazioni di maquillage, il quadro si fa ancor più desolante. A forza di nei e ciglia finti, posticci per le sopracciglia – a coprire i segni di eventuali malanni o, in alternativa, le ferite ricevute in duello – insieme alla biacca per il viso, velenosissima, e all’uso spasmodico del ‘rouge‘, andavano somigliando sempre più a ‘bertucce’. Sagome imbiancate, dall’aspetto inquietante, non certo aiutate dalla considerazione che lo struccaggio – ahinoi – avveniva assai raramente.

Eccezion fatta, in questa panoramica, per le amanti del Re: le Cortigiane di alto lignaggio – per capirci – ufficiali e non; per la guardarobiera personale di Sua Altezza Reale e per il Primo stalliere.

Leggende? Dicerie sparse dai detrattori? Può darsi. Ciò non di meno, se vi dovesse cadere l’occhio sui ritratti dell’epoca, vi accorgereste di come non vi sia nobildonna armata di sorriso. I denti erano praticamente da buttare, mentre, tra continui banchetti, si tendeva alla pinguedine. L’assioma della femminilità finì, dunque, per tradursi – a dispetto dei sobborghi parigini, in cui si moriva di fame – in obesità.

Che dire, poi, delle acconciature. Elaborate fino all’inverosimile e concepite come vere e proprie architetture, venivano ‘edificate’ su capigliature, irrimediabilmente sporche. Lavare i capelli? Impensabile. E quando il prurito, opera delle colonie di pidocchi, diveniva insopportabile, vi si poneva rimedio con una stecca, a forma di manina. Come dire: ‘Una grattata e via‘.

E pure la pratica dei vasi da notte, riempiti all’occorrenza e poi riversati per strada il giorno seguente, era ereditata, direttamente dal Medioevo. “Versailles era un enorme puzzo nero, che emanava tanfo di sudiciume e di escrementi“.

Potremmo, ancora, raccontarvi dei contadini e della loro consuetudine a scaricare, nei lussuosi giardini, un copioso numero di immondizie o dell’odore di fuliggine che trapelava da pareti, tappezzerie e tendaggi; del fumo che, da novembre ad agosto, invadeva gli ambienti.

Oppure, parlarvi per voce della stessa Maria Antonietta; una rivoluzionaria, in tal senso e, per questo, pure, mal vista. Scrive la Regina, nel suo personale diario: “Subito dopo era il momento del bagno. Le cameriere trascinavano, in mezzo alla stanza, una vasca a rotelle, nella quale mi immergevo, indossando un lungo camicione di flanella, abbottonato fino al collo. Tempo dopo, venni a conoscenza dei pettegolezzi, sorti a causa di questa mia irrinunciabile abitudine…“.

Rivelarvi, della lettera che la Princesse Palatine, cognata di Luigi XIV, volle inviare all’illustre parente, riguardo alla possibilità di rilasciare i propri bisogni anche all’aperto, mascherati, questi ultimi, dal profumo dei fiori. “Non siamo così fortunati qui, perché sono costretta a tenere il mio sgabello fin quando non arriva la notte. Non ci sono servizi igienici nelle case vicino alle foreste. Sono costretta ad andare fuori per farla. Il che mi infastidisce…

Fatto sta, nel 1734, il degrado – nonostante i piccoli o grandi accorgimenti per evitarlo – sfociò in una crisi di tifo, dovuta ai bagni che in molti praticarono presso le acque di Clancy. Scarso, al riguardo, l’effetto delle latrine pubbliche – 2 ogni 3000 abitanti – o la sanificazione del sistema di fognature, volute da Luigi XVI e relativa consorte.

Parigi, o meglio Versailles, era quel che era. Un sepolcro imbellettato di creatività e frivolezza – dal respiro leggero, ma ne siamo davvero sicuri? – in cui, sottintesi, governavano immoralità, corruzione, depravazione e la peggiore di tutti: trascuratezza. Che questa sì, è davvero, ai nostri occhi, imperdonabile.

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