The mole agent, che detective lo si può essere pure a 80 anni

The mole agent, che detective lo si può essere pure a 80 anni

Immaginate di stare scorrendo le pagine di un giornale – eh, bei tempi quelli della carta stampata – e di individuare, tra i numerosi, un annuncio, nel quale si richieda un ultra ottantenne: pieno di iniziativa, autosufficiente, abile con la tecnologia, discreto. E che sia pronto a compiere un’investigazione che, potenzialmente, potrebbe tenerlo lontano da casa, per un tempo plausibile di tre mesi. E’ l’inserzione, questa, che dà il là via a The mole agent (El agente Topo), docu-film cileno di Maite Alberdi. In gara, quest’ultimo, niente di meno che agli Oscar, nella sezione documentari.

Marcela ed io stavamo guardando la diretta dell’annuncio delle candidature e, quando abbiamo visto che eravamo nominate, ci siamo abbracciate e siamo scoppiate a piangere… poi a ridere“, racconta la regista, a proposito della sua reazione alla notizia e di quella, anche, della produttrice, Marcela Santibanez.

Trattasi – spiega la ‘nostra’ – di una sorta di viaggio, avvincente ed emotivo ma, non di meno, divertente. Un’indagine, coinvolgente e sorprendente, compiuta presso una casa di riposo, quattro anni fa, dall’allora 83enne Sergio Chamy, pensionato, da poco vedovo, ‘reclutato’ dall’investigatore Romulo Aitken.

A ingaggiare il detective, a sua volta, era stata la figlia di una delle degenti della struttura, intenta a scoprire se la madre venisse trattata bene. Sergio, costretto – causa la missione – ad entrare nella casa di riposo come ospite, è goffo ma altrettanto sensibile. Portato all’ascolto e come tale, preda, a breve, delle numerose dame, sue compagne di degenza.

Un racconto reale che, tuttavia, si presta ad una rilettura in chiave di fiction: “Ci sono arrivate varie offerte e stiamo chiudendo un primo accordo con gli Stati Uniti“, specifica, ancora, la cineasta.

Gli anziani protagonisti del girato “vivevano già, di fatto, isolati nella solitudine“. Assai prima dell’evento pandemico, “come in un lockdown simbolico“.

Molti, fuori – prosegue – si sono resi conto di quanto fosse profonda la separazione dalle persone, in queste strutture. Il film, basato su temi che considero universali, ora, sicuramente, risulta ancora più attuale“.

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