Perduto, licenzioso Filippo, fratello minore del Sole

Perduto, licenzioso Filippo, fratello minore del Sole

Avrei voluto nascere senza un nome, senza un titolo. Avrei voluto non avere alcun rango sociale. Avrei desiderato che nel sangue scorresse distillato di piacere. Avrei voluto saper difendere la mia natura, fatta di evanescenza; tutelarla, prima che la crocifiggessero.

Filippo d’Orleans

E, invece, mi porto questo cognome, addosso, che pesa più di un macigno; che mi ossessiona, sin dalla nascita. Orleans… dovrei andarne fiero. Orgoglio di Francia… ma voi non sapete quanto chiede. Il prezzo ho iniziato a pagarlo sin da subito. Avevo tre anni quando mio padre è morto. Dal 1643, sono cresciuto sotto la tutela di mia madre Anna e del Cardinal Mazzarino.

Ah, potessi tornare indietro… potessi, alfine, prefigurare il mio destino. Lo disegnerei lontano. Distante dai giochi di potere, dagli intrighi, dalle manovre di una Corte intossicata, affaccendata nella ricerca famelica di una soddisfazione che – lo comprendo solo ora – non esiste.

Non lo so, forse è perché è mancato, in effetti, un esempio, una figura forte a cui appellarmi… forse non si volevano recrudescenze fra me e Luigi. Mio fratello, il futuro Re di Francia. Occorreva reprimere ogni istinto di virilità. Forse, semplicemente, non ne ho mai posseduto.

Luigi XIV e Filippo d’Orleans

Sapete, era consuetudine, allora, addobbare i bimbi con abiti di foggia femminile. Lo si faceva, almeno fino ad una certa età. Per me fu diverso. La mia stessa carne mi appellava: ‘la ma bambina‘. Così, presi, d’abitudine, a trafugare vestiti, trucchi, gioielli dalle ante di un armadio che non era il mio. Mi imbellettavo, in occasione di Eventi importanti, come fossi una dama. No, mi correggo: la più sfarzosa delle dame.

Quando passavo tra di loro e mi osservavano smarriti, perplessi, non mi rendevo conto di quel disturbo che gli abitava gli occhi. Io ero, assecondando ogni mio battito, bellissima.

Crescendo, ero punto d’approdo per le nobildonne, bisognose di un consiglio riguardo alle loro toilettes. Sapevo come donare nuova vita a bijoux ormai sorpassati. Mi sollazzavo attraverso le chiacchiere amene dei salotti. Vuote, dite? Forse… costituivano, comunque, un privilegio, un divetissement, alla guisa del pettegolezzo.

Filippo, duca di Never

Il primo che mi ebbe portava, indosso, il mio stesso nome. Filippo. Il duca di Never era nipote di Mazzarino. Dissero che mi corruppe, che mi traviò. Lo cacciarono, perfino, affinché fossi fuori dalla sua portata. Ma io avevo seguito solo il corso della mia indole. Quante strade può prendere la libido, e che volto può avere il godimento… il mio parlava di uomini, figure carismatiche. Belli, forti, avrei allargato le cosce per chiunque di loro. Di più, lo avrei fatto per me stesso.

Così, divennero, via via, impietosi:

“Era un piccolo uomo panciuto, montato su dei trampoli, da quanto erano alti i tacchi delle sue scarpe. Sempre agghindato come una donna, pieno di anelli, braccialetti e gioielli dappertutto, con una lunga parrucca tutta spinta sul davanti, nera ed incipriata, e con nastri ovunque ne potesse mettere, pieno di ogni sorta di profumi ed in tutte le cose la pulizia fatta a persona”.

Parlavano di me, sbeffeggiandomi. Mi accusavano di indossare il rouge. Non ero il primo, né l’unico. Diventavano paonazzi mentre ricordavo loro che ero figlio di Luigi XIII.

Filippo, ancora, con le sue eccentriche mise

Perché, poi, fossero così scostanti, non so spiegarvi. Erano stati loro ad edificarmi, secondo una volontà comune, affinché non recassi offesa, né insolenza al Delfino di Francia. Eppure ci fu un tempo, un momento in cui seppi distinguermi… era il 1677. Mi feci notare nella battaglia di Cassel, durante il conflitto Franco-Olandese, con la mal sopportazione di chi mi voleva fuori dall’acclamazione popolare.

Inventarono, dunque, la più blasonata delle ricette. Mi ricoprirono di titoli nobiliari, rendite, proprietà a profusione. Mi comprarono, insomma. Arredarono, a mio beneficio, pensieri, null’altro che frivoli.

Enrichetta Stuart

Gli facevo comodo e li irritavo, insieme. Prefigurarono, quindi, per me, nonostante a gran voce si ventilasse dei miei numerosi amanti, un matrimonio. Nel 1661 ebbi in moglie Enrichetta Anna Stuart, sorella di Carlo II d’Inghilterra. Minette era civettuola e intelligente. Ed enormemente furba, tanto da riuscire ad infilarsi perfino nel letto del Re. Fu lei ad adoperarsi, in prima persona, all’epoca del Trattato di Dover, questo sono d’obbligo a riconoscerlo. Fu sempre Lei, altresì, ad allontanarmi dall’unico uomo che io abbia amai amato.

Concedetemi un istante, che parlare del Guisa – così lo chiamavano – mi ferisce ancora il cuore.

Aspettate, vorrei prima terminare con il mio racconto. Dunque, il 30 giugno del 1670 Enrichetta se ne andò. Parlarono di avvelenamento. Stolti. Era peritonite. Di fatto, per me si pretesero nuove nozze, giacché non avevo eredi. E così fu. Toccò, stavolta, ad Elisabetta Carlotta del Palatinato, mia seconda cugina.

Elisabetta Carlotta del Palatinato

…Monsieur era la donna più stupida del mondo e Madame l’uomo più stupido che avessi mai visto”. Ci apostrofavano così, io come una donnicciola. Lei come un maschio mancato. Che importa, era pur sempre un equilibrio, no? Riuscimmo, a dispetto delle apparenze, a procreare e in ben due circostanze. Un figlio, maschio ed una femmina, nel 1676, dopo di che smettemmo, di comune accordo, di coricarci assieme.

Avevo ben altro per la mente. Palpitavo, e chissà da quanti anni, per uno e uno solo. Filippo di Lorena aveva intrecciato la propria esistenza alla mia, sin dai nostri primi anni. Siamo cresciuti, io, Lui e Luigi, scorrazzando tra i giardini del Palais-Royal. Non mi rendevo conto di come fosse attraente. Di come sapesse calamitare ogni mio sguardo. Mi rapiva, mi soggiogava, senza che neppure me ne accorgessi.

Il Cavaliere di Lorena

Le Chevalier de Lorraine era rinomato, del resto, per il fascino e per l’attitude, impavida. ‘Il più coraggioso tra i Cristiani’, si adduceva a suo conto. Per me era l’uomo più attraente che avessi mai incontrato.

Nel 1658 i sensi ebbero la meglio. Si vociferava che fosse crudele, privo di scrupoli, avido come e più di un avvoltoio… ah… chissà… magari era questo sentirmi scricchiolare le ossa, al suo cospetto, a sedurmi. So, d’appunto, che il mio sentimento, era irreversibile. Me ne accorsi quando, nel gennaio del 1670, lo vennero ad arrestare, proprio mentre eravamo nelle mie stanze. Immaginate che vi stiano strappando l’anima dal petto e potrete, forse, in parte, immedesimarvi nel mio stato d’animo.

Per anni stette via. Non di meno, da Lione, dove si trovava in esilio, mi scriveva. Lettere bollenti. Mi eccitavo, ogni volta che la carta sfiorava le mie mani… Si decise allora, affinché si rendesse innocuo, di rinchiuderlo presso Château d’If  – l’isola di Montecristo, affinché voi comprendiate. Da lì, fu tradotto a Roma.

Lo rividi solo nel 1672. Su mia insistenza, era tornato dall’Italia. Avrei pagato oro per averlo al mio fianco. Notte e giorno mi misuravo con il mio ardore. Lui, con la sua cupidigia. Ebbe a convincermi a far sposare Filippo, mio figlio con l’erede. illegittima, di Luigi e della sua favorita, la marchesa di Montespan. La ritenevano ‘la vera Regina di Francia‘, per me era solo la più esperta puttana di Corte.

Madame de Montespan

Poco male. Come avrete intuito, Lorena mi convinse. Mi lasciai raggirare, intraprendendo una guerra contro mio fratello. L’8 giugno del 1701, tra i corridoi del Castello di Marly, litigammo talmente forte che le urla potevano percepirsi sin nel parco.

Mi sentivo arrabbiato. Di più, furioso, per l’arroganza dimostrata da quell’uomo, che portava la mia stessa genia. Ciò non di meno, mangiai lo stesso. Cenai, lautamente, per poi ritirarmi presso Saint Cloud. Ricordo questo. Poi il buio. Si parlò di un colpo apoplettico. Luigi sembrava dispiaciuto. Manifestamente contrita, anche la mia consorte, Elisabetta. Si affrettò – narra la storia – a bruciare la gran quantità di missive, indirizzare ai miei favoriti.

In quanto a Filippo, il mio Filippo, si era lasciato comprare, per gli interessi di chi, diversamente dal sottoscritto, per Lui non aveva mai manifestato pietà, né sostegno. Non lo biasimavo. Sapevo bene quanto sapesse rivelarsi ingordo.

Il Guisa

Morì, ad appena un anno di distanza, l’8 dicembre 1702, esattamente come era successo a me. Se ne andò via in miseria, dimenticato, tanto che, si racconta, il funerale venne pagato da qualche amico.

Io non so spiegarvi questo mio essere liquido. Ho volato, tuttavia, tra le sue braccia. Mi sono fatto concreto solo, unicamente, carne nella carne del Lorena. Dirmi uomo, o donna, non è mai contato. Dirmi Re non mi mai è stato concesso. Rimango, agli occhi del Mondo, Le petit Monsieur, e tanto mi basta.

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