Languishing: ritratto melanconico di noi stessi

Languishing: ritratto melanconico di noi stessi

Avete presente la sensazione per cui, appena svegli al mattino, già si palesa la voglia di ricoricarvi tra le lenzuola?

Oh, non è depressione. Piuttosto, un latente senso di abulia. Quel ‘non so che’ che, secondo The New York Times, ci accompagnerà lungo l’intero 2021 e che, in slang, prende il nome di languishing, sorta di derivazione, dall’italianissimo ‘languire’.

La velata – più o meno – stagnazione, in cui ogni giorno appare del tutto simile al precedente. Un po’ come quando piove e i vetri, appannati, ci impediscono di ricevere una visione netta di quel che è fuori.

È l’assenza di benessere. Non hai sintomi di disagi psichici, ma non sei neanche il ritratto della salute mentale. Non funzioni – insomma – al massimo delle tue capacità”. Come se, all’improvviso, qualcuno spegnasse l’interruttore delle motivazioni e pure la propensione a vivere hic et nunc venisse meno. E, la visone niente affatto felice, è in prospettiva.

In sostanza, la sintomatologia del disturbo è tale, da rimanere latente, anche per un tempo protratto. Il danno più evidente, in tutto questo, è l’inconsapevolezza. “Non riesci a percepire te stesso scivolare lentamente nella solitudine. Sei indifferente alla tua indifferenza. E quando non riesci a capire che stai soffrendo, non puoi cercare aiuto, né fare molto per aiutare te stesso“.

Assioma, che fa rima, in men che non si dica, con il termine ‘invischiante‘. Si procede su un terreno scivoloso e non tutti possono dirsi esperti equilibristi. Alla base, sottintendono gli esperti, c’è la necessità di stabilire il controllo di noi stessi.

L’arma per far fronte al disagio? La parola d’ordine potrebbe essere, a tal proposito, slow, ossia lo stato di abbandono, che si prova quando si è totalmente compresi in qualcosa. Il momento in cui, immersi in un accadimento, perdiamo la configurazione del tempo e dello spazio. Che sia la lettura di un libro, la visione di un film, la cura delle piante, poco conta. Ognuno, di per sé, può arredarsi il giusto ‘circuito’ per salvarsi.

Ultimo suggerimento: tenersi lontani dalla frammentarietà. “Se non hai la depressione, non vuol dire che tu non stia soffrendo. Se non hai il burnout non vuol dire che tu non sia esaurito“, concludono gli studiosi. “Sapendo che molti di noi stanno ‘languendo’, possiamo finalmente iniziare a dare una voce a questa sommessa disperazione“.

Parlare porta, di conseguenza, a tirar fuori e, in contemporanea, ascoltarsi, che non esiste prassi migliore per iniziare a modificare le cose…

LEGGI ANCHE: Quel fruscio di sottofondo che si chiama singletudine e fa rima con solitudine

LEGGI ANCHE: L’universo al di là del Web

Commento all'articolo