Self love: programmati per amarci

Self love: programmati per amarci

La cosa più difficile del mondo? Volersi bene. Ma bene quello vero, che nulla o poco ha a che fare con l’edonismo o il narcisismo o, peggio ancora, l’arroganza ed attiene, invece, alle dinamiche del rispetto di se stessi – e degli altri – dell’umiltà, da non confondersi con la modestia, della sana autocritica, che si traduce in coscienza di sé. Consapevolezza, insomma, sembra questa la parola chiave che, meglio ci si conosce, meglio si riesce a discerne, in una linea di continuità, in che punto, tra noi e il mondo, siamo collocati.

E da lì si parte, ci si dirige verso… semplicemente, verso il domani. Armati di curiosità, entusiasmo, un pizzico di fatalismo e… paura? Sì, Serve anche quella, tutto sommato, che ci aiuta a stabilire il senso del limite.

Dunque, è tutta una questione di mentalità. La vita ci si ci si ripercuote addosso? Niente affatto. Sta a noi assumerne le redini e stabilire in che direzione indirizzarci.

E, in sintonia con il cervello, esistono le abitudini. Se è possibile, allora, modelliamoci con criterio, secondo le personali esigenze e secondo gli obiettivi che intendiamo raggiungere.

Il primo nemico da abbattere in questo percorso? Il senso del giudizio. L’idea che gli altri siano perennemente pronti a guardarci, criticarci, parlare di noi… Sottile e sofisticata manifestazione di egocentrismo. Cosa o chi ci dà l’idea di essere così importanti? In realtà la critica, spesso, parte da dentro. E’ la vocina interna che ci suggerisce, più o meno insidiosamente, la strada sbagliata. Ci sussurra all’orecchio che non siamo abbastanza: bravi, belli, buoni, profumati, intelligenti, reattivi etc. etc. etc.

Basterebbe soffermarsi sulla considerazione che la perfezione non è di questa Terra per mettersi, in men che non si dica, il cuore in pace. Chi di noi non nasconde ‘scheletri nell’armadio? E, allora, impariamo ad amarli, quei ‘difetti’ che, poi, in fin dei conti, tali non sono. Facciamoci amicizia e, qualora scoprissimo che non ci andiamo poi così d’accordo, riformuliamoci.

Come in una ricetta, aggiungiamo un po’ di quello, un tantino di quell’altro. Quell’ingrediente lo eliminiamo, che ne siamo allergici e magari, al suo posto, ne inseriamo un altro, capace di personalizzare il nostro piatto. Non è poi così complicato e anzi, il più delle volte, risulta anche piuttosto divertente.

Impariamo a codificare, in sintesi, le emozioni, che una volta compreso ‘come funzioniamo’, il cammino si fa, di colpo, in discesa. E se comunichiamo anche attraverso il corpo (linguaggio non verbale ) e la voce, impariamo ad ascoltarci, tramite pure questi due speciali ingressi a noi stessi.

Laddove ci venga suggerito che qualche meccanismo, sia pur rodato, è malfunzionante, riteniamoci pronti a resettare e riformulare le abitudini. Quest’esercizio di flessibilità – sappiate – è enormemente arricchente. Si ha l’impressione, in principio, di perdere qualcosa; di contro, invece, ci si fortifica e la si acquista.

Quanti danni subiti, per ostinarsi a non voler uscire dalla propria comfort zone. Eppure basterebbe così poco…

Acquisire consapevolezza è un processo lungo, niente affatto banale. Ma vale la pena tentare. In nostro soccorso, intervengono, al riguardo, alcuni presupposti fondamentali:

  • Se una persona riesce a fare una cosa, chiunque può imparare a farla
  • La mappa non è il territorio, vale a dire che le indicazioni sono generali, ma il percorso è assolutamente individuale
  • Ognuno di noi vive nel proprio unico modello di mondo
  • L’esperienza ha una struttura, nel senso che le informazioni che riceviamo dall’esterno vengono codificate e rielaborate, in maniera sistematica. Questo ci conduce, una volta stabilito come funzioniamo, a gestire meglio la nostra parte emozionale
  • Le persone posseggono già tutte le risorse di cui hanno bisogno
  • Non possiamo non comunicare, che già di per sé è anche quella una forma di messaggio
  • Il significato di ciò che comunichiamo è la risposta che otteniamo. In sintesi, siamo i soli responsabili della chiarezza di ciò che intendiamo significare
  • Le persone attuano sempre la miglior scelta a loro disposizione
  • Se quel che abbiamo sempre fatto non funziona, bisogna provare a fare qualcosa di diverso
  • Non esistono fallimenti, ma solo feedback

Stabilito il circuito, e su questi preamboli, il resto vien da sé. Mattoncino dopo mattoncino, si lavora sul concetto di autostima. Che amare se stessi costituisce, in fin dei conti, il punto di partenza per amare gli atri.

In tutto questo, certo, un ruolo fondamentale lo gioca l’esperienza. Imparare a comprendere come predisporsi al prossimo parte da qui. E’ la chiave per riuscire a comprendere che non abbiamo per forza bisogno dell’altro, ma è bello che ci sia.

E trarre il meglio da quel che ci accade, che gli errori, anzi, in questa dinamica, sono indispensabili. Sono quelli che ci forniscono un maggior bagaglio di informazioni.

Bene. Ciò premesso, bando alle ciance. Esistono una serie di esercizi con cui ‘allenare’ – nel senso più letterale del termine – la materia grigia, proprio come si fa con i muscoli.

  • Imparare, innanzi tutto, a lavorare sul respiro. A tal proposito, è facile reperire veri e propri percorsi – in genere si tratta di tracce audio – di visualizzazione, che stimolino la capacità di interazione su stessi, la concentrazione. Predispongano all’ascolto.
  • Giacché abbiamo sottolineato come le parole manifestino un loro peso, alleniamoci a rigirarne la prospettiva: rendiamoci attenti/e alle occasioni in cui siamo portati all’auto critica, magari gratuita; facciamo caso al numero delle volte in cui, nella quotidianità, adoperiamo il verbo ‘devo’ o regaliamo ai pensieri accezioni negative: non, mai… e proviamo a scardinare questo tipo di comportamenti.
  • Terzo ed ultimo esercizio, coltiviamo il cambiamento:

– proviamo ad invertire una consueta routine, per almeno 10 giorni

– giochiamo, per un mese circa, ad essere quel che non siamo. Ad esempio, se destri, proviamo a magiare con la sinistra

– Per il medesimo lasso temporale, abbandoniamoci (per circa 5 minuti al giorno) alle parole in libertà. Vaghiamo, in pratica, scevri da raziocinio, dando libero sfogo a quel che ci abita nell’anima

Può sembrare sciocco, ma da qualche parte, nella politica delle rivoluzioni, bisogna pur iniziare. Meglio farlo al più presto. Tanto vale farlo a cuore aperto, sollevato, desiderosi di verificare quel che c’è oltre. Che, di sicuro, qualcosa c’è e, se non lo vediamo, è solo perché, ancora, non ne siamo in grado.

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