Facciamo finta che siano solo disegni…

Facciamo finta che siano solo disegni…

Volendo, potremmo fermarci a descriverne il fenomeno, definendolo semplicemente street art, ma c’è chi, del proprio talento ha voluto farne una filosofia di vita. Da 20 anni Paolo Bordino, in arte Pao, disegna alberi e animali. Pianta, insomma, natura in città. “Vent’anni fa sono sceso in strada a dipingere, perché vedevo che quello che per me era spazio pubblico, per tutti, veniva privatizzato dalla pubblicità. I luoghi aperti venivano recintati, secondo una logica di controllo. Per anni, Milano ha seguito questo andamento. L’idea era… intendere la città non solo come capitale finanziaria… Avevo in mente la riscoperta dell’agorà. Per questo, con altri writer, iniziammo a dipingere i muri e a trasformare, in maniera gratuita, quello stesso spazio che vedevamo sottratto alle persone. Volevamo soprattutto che la fruizione delle opere fosse gratuita. Volevamo trasformare la città, renderla inaspettata“.

Valla a chiamare ‘solo’ street art.

Così, i panettoni di cemento, come li chiamano i Meneghini, qui possono assumere le sembianze di pinguini, mentre i delfini spuntano fuori dall’asfalto. Una città pensata, in proposizione del futuro: “Nelle mie opere ci sono molti animali e piante, poco l’uomo. Voglio portare il tema della protezione e della riscoperta della natura proprio nel luogo antropocentrico per eccellenza, dove la natura viene esclusa“.

Del resto, essere all’avanguardia significa anche e soprattutto questo: rimanere al passo con i tempi, saperli ascolare e insieme a questi, pure le nuove istanze in essi racchiuse. I delfini – ad esempio – ricorda il writer, “li usai per promuovere una campagna del Cts Universitario, a difesa dei delfini nel Mediterraneo. L’anno scorso, a Catania, ho disegnato, sulla pavimentazione del metrò, un enorme maremoto, come evento meraviglioso e terribile. Del resto, stiamo perdendo il contatto con l’ambiente, sempre più incentrati su noi stessi. Per me, invece, i rischi ambientali sono una minaccia esistenziale“.

Ecco, allora, che la metropoli assume le sembianze di una sorta di libro in cui narrare, capitolo dopo capitolo, le singole storie: “L’arte ha una componente ispirativa. Una tra le sue qualità più grandi è far vedere alle persone le cose come potrebbero essere. E, per farlo, usa vari metodi… Io cerco di essere positivo, ho le mie ansie e le mie paure, ma quando intervengo in strada voglio portare sollievo e speranza“. 

Si può dotare le persone di un ‘occhio diverso’, a qualsiasi età“, aggiunge e spiega: “Il rischio che vedo è il distacco dal reale. È come se vivessimo dentro una grande bolla. Fino a che la bolla cresce sembra vada tutto bene. Quando scoppia, però, i problemi si presentano. Il reale, allora, serve a questo: a mantenere il contatto con le cose. E’ un esercizio quotidiano“.

Un esercizio, in continua mutazione. “Credo sia l’idea stessa di città a essere cambiata. La street art si è evoluta: se guardo me, all’inizio, la intendevo come divertimento. Poi, ricordo, venimmo contattati dal mondo della moda, dalla pubblicità e dalle agenzie di comunicazione, che ci consideravano cool. Poi venne il tempo delle gallerie, quindi quello delle istituzioni, dei Comuni, che usavano la street art per riqualificare, a basso costo, le loro periferie. Io ho fatto questo percorso, ora svolgo l’attività in maniera professionistica, da almeno 15 anni. Nel frattempo, cerco di maturare uno stile senza stravolgerlo, crescendo sempre”.

Se all’inizio ero puro istinto, poi è subentrato il mestiere. Allo stesso modo, cerco di ritrovare l’occhio del bambino, credo nella ricerca dell’innocenza, nella purezza”.

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