Greenwashing: come ti inganno con tante chiacchiere ‘eco’

Greenwashing: come ti inganno con tante chiacchiere ‘eco’

Greenwashing: mai sentito? E’ la tecnica, o meglio sarebbe dire l’operazione di marketing – decisamente poco virtuosa – usata, talvolta, dalle Aziende ‘birichine’. La comunicazione, in pratica, si esplica attraverso claim vaghi e generici. Un modo, per indurre i consumatori a credere di trovarsi davanti a packaging sostenibili e cicli produttivi di tutto rispetto e, invece, convogliato unicamente al conseguimento di un più ampio profitto.

UNA FORMULA ‘BECCATA’ A META’ DEGLI ANNI ’80

In sintesi: “l’appropriazione indebita di virtù ambientaliste, finalizzata alla creazione di un’immagine verde“… che, in realtà, non esiste. Il fenomeno venne messo in luce già nel 1986, dall’attivista Jay Westerveld, per denunciare una pratica molto comune negli alberghi. Questi ultimi, in sintesi, spingevano sul senso di responsabilità ambientale dei clienti, chiedendo loro di non mettere a lavare la biancheria, ogni giorno. Ne facevano una questione di impatto ambientale ma le motivazioni erano, come illustrato, strettamente economiche.

Una pratica che, al di là dello scopo più evidente, vale a dire convincere il possibile compratore ad acquistare prodotti, solo idealmente ‘buoni per il Pianeta’, rischia di configurarsi con più di un aspetto negativo. Si assiste, cioè, ad una sorta di vera e propria manipolazione nei confronti dei consumatori generando, per conseguenza, sfiducia verso qualsiasi messaggio di sostenibilità, anche quando veritiero. E, peggiore delle conseguenze, rimane in bilico pure l’approccio ‘green‘ tanto portato a vessillo, dal momento in cui quest’ultimo, per via di quanto accennato, perde di credibilità.

COME DIFENDERSI

Niente panico. Individuare se ci si trovi in balia di un tentativo di greenwashing è più semplice di quanto si riesca ad immaginare. Le Aziende che davvero puntano alla sostenibilità procedono, generalmente, secondo un modus operandi assai trasparente. Basterà verificare su siti e e-commerce per rendersi conto, ad esempio, se i prodotti siano corredati da codice INCI e non sarà difficile trovare spiegate, in maniera chiara e dettagliata, le varie iniziative eco-friendly del Brand.

Al contrario, tante parole e pochi fatti. Questo, almeno, di regola.

Dunque, dichiarare un prodotto “naturale al 98%” è, in termini di procedimento, abbastanza elementare: la formulazione, infatti, non deve far altro che essere composta principalmente da acqua. Allo stesso modo, la definizione “biodegradabile” può rendersi estremamente vaga. Ogni materiale, plastica compresa, lo è. La chiave è capire quanti e quali danni può provocare all’ecosistema, nel frattempo.

Se, parimenti, trovare dettagli sulle formule e sulla tracciabilità degli ingredienti è impresa ardua, tanto vale rimanere in allerta. In ultimo, mai sottovalutare l’importanza strategica del packaging. Tonalità come il marrone, il verde o il bianco potrebbero erroneamente fuorviare la valutazione. Non avendo altro su cui fare appello conviene, pertanto, verificare gli ingredienti del prodotto, la storia della Ditta di riferimento e il suo reale impegno, nel non inficiare il cambiamento climatico.

LEGGI ANCHE: Green Machine: così H&M salvò l’ambiente…

LEGGI ANCHE: Ci sono sneakers e sneakers…

Commento all'articolo