Indiano: ma questo pane quante facce ha?

Indiano: ma questo pane quante facce ha?

Come narrare o pensare di narrare di un territorio tanto vasto e variegato, come quello Indiano? Qui, combinazioni, ecosistemi e usanze sono visceralmente legati, accavallandosi gli uni alle altre. Specie se si tratta di cucina, non esiste una sola declinazione. Non un unico curry. Non un unico formato di pasta secca. Così il pane che, dalla colazione alla cena, si traduce in interpretazioni e sapori, del tutto differenti.

Se nel Nord dell’India si incontrano ParathaKulcha e Poori, nelle regioni orientali si preferiscono le morbide consistenze del Luchis e delle Pitha; a Sud, si incontrano DosaIdlis e Parotta, mentre ad Ovest regnano Chelas e Bhaji. Le occasioni di consumo cambiano, a seconda di intingoli e piatti che accompagnano. Così, di volta in volta, si traducono in strumenti per raccogliere, avvolgere o esaltare il cibo.

Comun denominatore resta la farina, di grano duro integrale (Atta), mescolata con altre farine: di miglio, sorgo, riso, lenticchie o mais, per arricchire il gusto della pasta, valorizzata – poi – con cotture che spaziano dalle piastre in ghisa – conosciute come Tawa – ai forni in mattoni, fino alle fritture espresse.

Volete capirci qualcosina in più? Ecco a voi un breve resoconto di quel che potreste incontrare a tavola…

  • Chapati. Per avere un’idea di quanto deve essere sottile, basti immaginare che, in lingua Indi, chapat significa schiaffo. Originario del Punjab, questo pane è forse il più famoso tra i vari elencati. Ottimo, con praticamente tutte le preparazioni, viene steso sottilmente e cotto nella Tawa, appena prima del consumo, per godere del profumo leggermente nocciolato che emana, nel momento in cui si spezza.
  • Parotta. Si dice che il merito dell’invenzione vada, di pari passo, a Kerala e Sri Lanka. Preparato da colazione per eccellenza, richiede una lunga attesa, capace di conferire fragranza ai numerosi strati di cui si compone. Così pure, altro segreto, è il gusto dolce del semolino e dello zucchero caramellato in padella e profumato di Ghee. Nella versione street food, il matrimonio ideale è con un Dhal di lenticchie, gustato appena inzuppato.
  • Paratha. Noto per la texture leggermente gommosa e piuttosto friabile, è ottimo da solo, ma lo si trova – anche – farcito con patate, cavolfiori o aromatizzato con un semplice trito di menta, aglio e coriandolo.
  • Naan. Forse il più antico. La prima menzione si ravvisa nelle note di un poeta indo-persiano di epoca medievale, tale Amir Kushrau, che lo identifica come il cibo preferito per le colazioni, presso la corte dei Mughal. Atto ad esaltare il pollo Tandoori o le carni allo spiedo, dà il meglio di sé, se farcito di Paneer o di burro.
  • Puri. Come tradizione vuole, si prepara, a partire da farina integrale, acqua e sale. Ma il fascino, quello vero, risiede nella cottura. Una volta steso in dischi, è fritto, fino ad intrappolare, al suo interno, l’aria. Il risultato? Magnifiche focaccine dorate. Piccoli dischi volanti, che si sposano divinamente con piatti di curry vegetariano o, semplicemente, con una birra da aperitivo.
  • Bhatura. Rispetto al Puri, cambia unicamente la farina – la Maida – più fine rispetto alla comune. Per arricchirlo, spesso si aggiungono yogurt e Ghee; mentre la preparazione si allunga fino a 5 ore. Quelle necessarie per il riposo dell’impasto. Da gustare con un Lassi o accompagnato da un curry di ceci, va divorato all’istante.
  • Bhakri. Due, nel caso in questione, sono le scuole di pensiero. La prima prevede una cottura a mo’ di pancake, sul Tawa. La seconda, lo vede morbido e inondato di Ghee. E ce ne è pure una terza, sorta di rivisitazione sbrigativa del Chapati. Sembra rappresentasse il pan di via per i contadini impegnati nelle coltivazioni del Sud e che, in assenza di forchette o cucchiai, assolva egregiamente, sia alla funzione di posata sia a quella di scarpetta, a fine pasto.
  • Baati. Tipico del Rajastan, regione in cui la messa in forno Tandoori segue ad una prima bollitura. Dalla consistenza piena e di forma rotonda, si caratterizza per la durata e l’alto contenuto nutritivo. Abbisogna, nell’impasto, di poca acqua. Viene, dunque, consumato in particolare, nelle zone desertiche e durante i periodi di siccità. Il connubio sine qua non? Con il Thali, quando le palline dure di Baati si tuffano nei curry morbidi di lenticchie rosse.
  • Kulcha. Rappresenta in pieno la cucina del Punjab e si compone, oltre che di farina Maida, di patate, cipolle e spezie miste a profusione. La cottura avviene in forno, fin quando i dischi si gonfiano, pronti per essere intinti nel Chana masala, ennesimo piatto di curry, a base di ceci. Ovviamente, senza dimenticare un’abbondante spalmata di Ghee.

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