Arbore-Melato: e non c’è storia…

Arbore-Melato: e non c’è storia…

Ci sono amori… e amori. Ci sono, del resto, persone e persone. Così era, così è, come l’ha voluta definire Alda Merini, Mariangela Melato: “una donna piena di grazia!“. Una di quelle rare creature che definire bella, semplicemente, risulterebbe riduttivo e fuori luogo.

Il 19 settembre avrebbe, in teoria, compiuto 80 anni e, quel che ne rimane, al di là dell’interminabile carriera, vestita di successi teatrali, cinematografici, televisivi, musicali… è una nota di malinconia.

La riassume, meglio di chiunque altro, Renzo Arbore, suo compagno di vita per un certo lasso di tempo: “Sono malinconico, pensando a questo anniversario. Perdo il mio brio e la mia positività. Mi rabbuio“. Sintesi di un sentire che, facilmente, cattura chi l’ha conosciuta, anche solo per poco.

E prosegue, l’artista: “Io adoro ricordare Mariangela. Il suo talento straordinario, la sua grazia, la sua unicità. Certo gli anniversari portano con sé rimpianti e tante riflessioni. Sono felice, però, che venga ricordata. Anzi, bisognerebbe farlo di più. Giovedì 30 settembre andrà in onda la prima puntata di Illuminate, su Rai3, interamente a lei dedicata. Ci sono anche io. Vedremo molto di lei. E’ un bellissimo omaggio“.

Quando si sono incontrati, racconta, “Io avevo 36-37 anni (lei 4 meno di me). L’ho incontrata al Teatro Sistina, mentre ritirava un premio. Mi sono accorto che, tra tutte le personalità presenti, la più moderna e curiosa era quella strana ragazza con i capelli corti bicolori, che parlava in fretta e con grande cognizione di causa. Un talento eccezionale. L’ho invitata una sera a casa mia ed è venuta con la sorella“.

Un corteggiamento, diciamo pure, combattuto…

Siamo andati a casa di Agostina Belli, dove c’era una festa. Avevo convinto il mio amico Lucio Battisti a venire con noi. Lucio non amava le feste e non andava da nessuna parte perché diceva: “Poi mi fanno cantare”. Io lo convinsi dicendogli: “Vedrai che non succederà, mangiamo una cosa e basta. Garantisco io”. Venne . E fu lui invece che, vedendo una chitarra, di sua spontanea volontà la prese e cominciò a cantare “Io vorrei, non vorrei, ma se puoi …come può uno scoglio arginare il mare …”. Io e Mariangela ci guardammo. Eravamo già cotti“.

… che si risolse in un sentimento inossidabile.

Io cominciai a frequentare casa sua e nacque un amore indimenticabile, fortissimo, rispettoso, molto sorridente. Abbiamo riso tanto. Sì, una storia d’amore sorridente e straordinaria, senza mai una lite. Mai. Io rispettavo le sue opinioni e lei le mie. Non parlavamo per essere polemici. Io riconoscevo le sue ragioni, lei le mie, ma più spesso ero io a riconoscere le sue, perché le donne sono più mature in quella stagione della vita. Io non ero maschilista, ma mi portavo dietro un po’ di retaggio: ‘L’uomo è sempre uomo’, ma con lei quell’aspetto era scomparso“.

Completamente rapito, confessa: “Mi piaceva tutto di lei. Mariangela si era fatta da sé. Aveva una grande cultura: leggeva, studiava, studiava, studiava. Il teatro era la sua grande passione. Nella nostra storia io fingevo di non sapere e quando andavamo a teatro mi facevo spiegare la trama“.

Un tempo felice, in cui “frequentavamo tanti registi, soprattutto quelli che lavoravano con lei. Franco Rosi, Mario Monicelli, Ugo Tognazzi, Elio Petri, Gian Maria Volonté, Lina Wertmuller, Alberto Sordi, Giuliano Montaldo. E’ stato un bel periodo, perché mi sono avvicinato al cinema importante, grazie a lei. È nato anche Il pap’occhio, dove Mariangela, molto carinamente, ha interpretato se stessa“.

E, poi, fiero, aggiunge: “l’ho fatta cantare con la mia orchestrina Solo me ne vo’ per la città, che poi è diventata la nostra canzone“.

C’era una magica fusione, anche culturale, tra noi. La mia napoletanità acquisita – canzoni, poesie, personaggi della cultura napoletana – e la sua milanesità, che mi comunicava, tramite la frequentazione con Jannacci, Gaber, Strehler, i Legnanesi. Noi, graziosamente, abbiamo sempre scherzato tra il milanese e lo sfottò napoletano“.

E, tra i momenti impressi nella memoria c’è, per Arbore, la volta in cui… “Abbiamo dato buca a tutti e abbiamo passato quel Capodanno a casa, a Roma, con cotechino e lenticchie, solo noi due. Eravamo troppo innamorati“.

Non aveva nessun vezzo delle attrici”, prosegue. “Non aveva invidie per nessuno. Detestava i pettegolezzi. Mai nessuna piccineria“.

Una storia, fatta, come ogni storia merita, anche di scivolate…
Mariangela, nei primi anni Ottanta, è andata negli Usa a tentare la carta americana. Allora non c’erano i telefonini e ci siamo distratti. E ce l’eravamo anche detto: “Attenzione che ci distraiamo”. Lei ha avuto incontri americani. Io da solo, a Roma, mi sono distratto e così, quando dopo quasi due anni è tornata, ci siamo accorti che non ci divertivamo più insieme. Tacitamente, ci siamo lasciati andare, senza litigare. E’ stato un allontanamento dolce, senza rancori. Salvo poi riprendere dopo anni (nel 2007). Più adulti, si è riformata la coppia, anche perché l’affetto era rimasto integro anche nel periodo di lontananza“.

Ci ha sempre tenuti legati un filo. Io viaggiavo e compravo regali per lei. Quando potevo, la chiamavo per telefono, ci raccontavamo le nostre storie. Una donna straordinaria, nel senso letterale del termine; di quelle che difficilmente si incontrano. Aveva una sua nobiltà popolare, ma purissima, dovuta alla fatica che aveva fatto per diventare Mariangela Melato. Aveva una grande capacità di assorbire gli eventi della vita sua e degli altri. E aveva una grande attenzione, un grande rispetto“.

Un rispetto, costruito su un forte rigore morale: “Mi manca il grande affetto, il sentimento e i suoi codici. Mariangela aveva dei codici: l’onestà, non pensare al danaro, la correttezza, la superiorità nei confronti del pettegolezzo, l’amore per la lettura, l’informazione, lo studio. Parlavamo di politica, ci confrontavamo“.

Da artista, “un talento unico, senza paragoni. Tantissimi grandi attori, tra cui Michele Placido, mi hanno sempre detto che è stata la più grande attrice teatrale dei nostri tempi e Giancarlo Giannini diceva “Io imparavo a recitare guardandola”. Lei è riuscita bene in tutto: dai ruoli drammatici nell’Orlando furioso, o Medea, a Filumena Marturano, interpretando un genere napoletano che non era certo il suo. E poi tanti personaggi femminili, al Cinema e in tv, sempre per rivendicare la potenza delle donne, la loro forza e indipendenza. Ma era bravissima anche nello spettacolo leggero: cantava e ballava in modo divino. Verrà riscoperta come la grande attrice, come la Duse“.

Un regalo, per ricordarla? “Una bacchetta, con la quale vivere gli anni della terza età che ci avrebbero portato salute, successo e amore. Mi sarei procurato una bacchetta magica finta, quelle americanate, per darle quell’augurio di cui lei si sarebbe rallegrata moltissimo. Lei era modesta, bastava un piccolo regalino ed era felice“. Del resto, i doni non sono mai mancati… “Sì tanti, con molta generosità reciproca. Le regalai un braccialetto di mia madre, in stile Liberty. Le piccole cose la facevano felice. Uno dei più belli è un autoritratto di Mariangela che aveva Mario Tullio Giordana. Gli sarò eternamente grato per avermelo donato. L’aveva fatto Mariangela con la stoffa della sciarpa che si vede nel film La classe operaia va in paradiso. Ce l’ho nella mia stanza da letto e tutti i giorni lo guardo. E lei mi guarda sempre.

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