Dangerous Liaisons: apologia di un fallimento esacerbato d’astio

Dangerous Liaisons: apologia di un fallimento esacerbato d’astio

Un sinuoso muro di imperturbabile eleganza. Il fare composto e regale di chi, la vita, l’ha masticata già abbastanza, da sapere come domarla. E quel gelido equilibrio, a nascondere una natura – probabilmente – selvaggia. Un’anima vendicativa e libertina, a dispetto dell’immagine integerrima offerta alla Società.

E’ così che, al proprio pubblico, si mostra la Marchesa di Merteuil, velata da un’aura di rispettabilità. Del resto è intelligente. Furba. Colta. Quel tanto che basta perché la corruzione che la caratterizza rimanga nell’ombra; perché buone maniere e sagacia riescano a mistificare il versante di lussuria e meschinità che, invece, la corrode.

E’ vedova. Studiatamente vedova, ci viene da dire. E ferocemente convinta di dover infierire su chi le ha fatto – o è in procinto di farle – torto. Vanità? Brama di vendetta, piuttosto.

Ed è una, in particolare, la missione su cui concentrare le sue perverse energie. Rifarsi su una sua vecchia fiamma, Gercourt, sul punto di sposarsi con la giovane e innocente Cécile de Volanges. Attenzione, tuttavia, ciò che avete di fronte è sì il ritratto di una donna ferita, ma non certo innamorata. A primeggiare, financo in questo caso, è l’ego. Un ego, quanto meno smisurato, complice, nell’infausto disegno, una personalità altrettanto chiacchierata e amorale. E’ qui che farà la sua comparsa il visconte di Valmont, amico di lunga data, dove per tale si intende – meglio – ex amante, con l’incarico di iniziare al sesso l’inesperta fanciulla.

Una macchinazione complessa e arditamente congeniata. Quale più grande sfregio, se non quello di deturpare il bene più prezioso – la purezza – di Colei che le ha, inconsapevolmente, rubato il posto tra le lenzuola? Dunque, la Marchesa opera, all’insegna di una logica, tanto precisa quanto impenetrabile. Ma l’odio che pare accecarla non è rivolto ad un solo uomo. Si espande a macchia d’olio, destinato all’intero genere maschile. Sorta di ribellione a quel che convenzioni ed etichetta impongono alle donne.

Così la frustrazione, sin dall’età di 15 anni, ha assunto le sembianze – giorno dopo giorno – di scaltro distacco. “Finii per diventare una virtuosa dell’inganno“, dichiarerà, in prima persona, durante un celebre monologo. Alla luce di un unico principio fondante: “Vincere o morire

Una sessualità, vissuta con spregiudicata disinvoltura, darà modo al personaggio di spingersi fin dove vuole, burattinaia di fronte ad un mondo ignaro, ingenuo, troppo superficiale per fermarsi a leggere la verità delle sue mire. Tutti. O quasi. E il gioco si fa, via via, più ardimentoso. La posta si solleva e, a sfida, sopraggiunge sfida. A tentazione subentra tentazione, secondo una sottile linea, che traccia un sentiero destinato, inesorabilmente, a terminare nel sangue. Quello, in primo luogo, di Valmont, che perirà in duello contro il rivale Danceny, quello dell’integerrima Madame de Tourvel, vittima inconsapevole di quest’agghiacciante partita e quello, pure – per vie traverse – della stessa Marchesa, fagocitata dalla propria nefandezza.

Ecco, volendo riassumere Le Relazioni Pericolose, film del 1988 diretto da Stephen Frears, tratto dal romanzo omonimo di Choderlos de Laclos e dall’adattamento teatrale, ad opera di Christopher Hampton, basta studiare a fondo il carattere di Colei che può ritenersi, a tutti gli effetti, il cardine dell’intero girato.

Una figura ambigua e per questo improrogabilmente intrigante, magistralmente interpretata, allora, da Glenn Close e da valere all’attrice la Nomination come miglior interprete protagonista. Non a caso, la performance fu ritenuta da critici e pubblico ‘da antologia della storia del cinema…

IL MONOLOGO

Non avevo scelta, vero, sono una donna. Le donne sono obbligate ad essere molto più abili degli uomini. Potete guastarci la reputazione e la vita solo con poche parole ben scelte, quindi è chiaro che Io non ho dovuto inventare solo me stessa, ma espedienti di fuga a cui nessuno aveva mai pensato.

E ci sono riuscita, perché Io ho sempre saputo di essere nata per dominare il vostro sesso. E vendicare il mio. Quando feci l’ingresso in Società avevo 15 anni e Io già sapevo che il ruolo cui ero condannata – vale a dire stare zitta e obbedire ciecamente – mi dava l’opportunità ideale di ascoltare e di osservare. Non quello che mi dicevano, che non era di alcun interesse. Ma tutte le cose che la gente cercava di nascondere. Ed ho esercitato il distacco.

Imparai a sembrare allegra, mentre sotto la tavola mi piantavo una forchetta nel palmo della mano. E finii per diventare… una virtuosa dell’inganno.

Non era il piacere che cercavo. Ma era la conoscenza. E consultavo i più rigidi moralisti per la scienza dell’apparire; i filosofi, per sapere cosa pensare e i romanzieri, per capire come cavarmela. E, alla fine, Io ho distillato il tutto in un principio, meravigliosamente semplice: Vincere o morire.

Se Io voglio un uomo è già mio. Se ha qualcosa da dire, si accorge che non può.

E… tutta la storia è qui“.