Prova d’attore: a confronto con il personaggio

Prova d’attore: a confronto con il personaggio

E se vi domandassero di stabilire un cordone ombelicale con uno o tal altro ruolo che vi si chiede di interpretare? Spieghiamo meglio: dato un copione, come fare a catturare l’essenza di un carattere? Come cogliere la sintesi di tutte le fragilità, i desideri, le idiosincrasie, gli istinti, le abitudini… del personaggio che vi viene affidato?

E’, volendolo riassumere in breve, un lavoro da sottile e preparato scassinatore. Armati della dovuta attrezzatura, cioè, e scevri da giudizi o pregiudizi rispetto ai panni che ci si appresta ad indossare, occorre introdursi, più o meno furtivamente, nei meandri reconditi di una mente, fino ad allora estranea. Confortarsi del suo stesso conforto, cibarsi del suo medesimo nutrimento.

Immaginare come, quel determinato tipo di persona, potrebbe, in teoria, mangiare, parlare, vestirsi, camminare… che tipo di reazioni potrebbe avere, di fronte a fantomatici accadimenti, anche non menzionati nello Script di partenza. Avvalorarlo, in pratica, sorta di novelli Geppetti, di un’anima e fondere in essa, parte della propria. Che sia corrispondente, quel tanto che basta per confondersi, e fondersi, l’uno con l’altro, resocontandosi come qualcosa di altro ancora; che esiste, fin tanto che vestiamo quell’apposito ‘abito’, scelto dal regista per noi.

Il talento, se la vogliamo dire tutta, è nascosto qui. Nel non fingersi, ma nel diventare. Nell’intraprendere, curiosi e coraggiosi, un viaggio di per sé sorprendente, la cui meta si disegnerà solo a fine percorso. E nel goderselo l’itinerario, nei giorni di studio e di lavorazione, convinti che all’arrivo ne sapremo molto di più, persino di noi stessi.

Così, simpaticamente, abbiamo provato a ‘giocare’ – che, in fondo, nel recitare, di questo di tratta – andandoci a confrontare con la parte di Ricky, affidata, in American Beauty, a Wes Bentley. Chissà se anche l’attore, a suo tempo, si è divertito nello stesso modo…

Ed eccola. Una fantomatica intervista – sorta di svelamento personale – rivolta al diciottenne armato di telecamera che – pellicola vuole – attraverso l’occhio indiscreto del suo strumento, è capace di scendere in profondità, afferrando la poesia di quel che, tutt’attorno, accade….

Sono un ragazzo, se qualcuno dovesse chiedermelo. Solo un ragazzo, E se questo fosse un tema in cui mi si domanda di parlare di me, vi spiegherei che non ha troppa importanza quel che mi porto dietro. In fondo, noi siamo quel che siamo.

Ah sì, una cosa però posso dirvela. Sono curioso. Solo curioso, anche se, in molti, pensano che io sia strano. Dal canto mio, non amo dare etichette. Né troppe spiegazioni. Non portano da nessuna parte. Ho i miei metodi per arrivare. Dovunque o al cuore di qualcuno e, in fondo, credo sia quello che conta di più.

Non giudico. Non amo mi si giudichi. Buffo come, dal mio punto di vista, gli strani siano gli altri, perennemente affaccendati a sembrare qualcosa di diverso. Ad indossare una maschera che li ripari e che, invece, a parer mio, finisce per schiacciarli. Ne trita l’anima. Ne divora e immobilizza l’essenza. Boh… vi dirò che non lo capisco…

Non comprendo come possa essere possibile intrappolarsi da soli, così, in un mondo fittizio, quando, di contro, la verità insita nelle cose è così immediata e tanto più grandiosa. E quanto più sono piccole queste cose, altrettanto appaiono belle. Infinitamente belle, tanto che disarmano e l’unico modo per affrontarle è abbandonarcisi. E’ un rapporto di fiducia quello che si crea con il mondo attorno, fatto di gesti, più che di tante frasi. Predisposto all’osservazione e al rispetto del diverso.

Vallo a spiegare a mio padre. Quell’uomo sembra trincerato dietro le sue povere certezze. Non lo odio, mi fa pena, piuttosto. E pena mi fa pure mia madre. Lei non ha modo di fuggire da tutto questo, ma io, presto, lo farò, perché per me voglio costruire un mondo migliore. Voglio poter immaginare una vita in cui non ci siano percosse o paure insensate. In cui il termine amico stia bene addosso a tutti. In cui ognuno sia padrone di sé, semplicemente.

Cosa ho trovato in Jane? Qualcosa che non vedo in nessun’altra. Qualcosa che non possiede Angela, troppo attenta a disegnarsi ‘bella’, secondo un dettato già scritto… Già, ma poi che vuol dire ‘bella’? Io trovo che Jane sia magnifica. Con le sue insicurezze, le sua fragilità di adolescente… E’ pura…

Ho capito che non c’è motivo di spaventarsi, neppure di fronte alla morte. E quando ho visto Lester con la testa piegata, su quel tavolo, vi confesso che non ho pensato a nulla, se non al fatto che, nell’istante in cui era ‘andato via’, doveva senza dubbio essere felice. Gli si leggeva in quell’espressione sorridente che, al di là di tutto e finalmente, aveva stampata sul volto.

Trovo che il potere più grande consista nell’appartenersi. Nel non rifugiarsi in fondo a se stessi, bensì nel dar voce al porprio cuore, in qualsiasi direzione conduca.

Cosa mangio? Perché me lo chiedete? Quello che in genere piace ai ragazzi. Pensate davvero che io sia differente? Un tempo dormivo rannicchiato su me stesso; oggi no. Supino, so prendermi tutto lo spazio di cui ho bisogno. Quando poi accanto a me c’è Jane beh, allora è il massimo. Non glie lo so dire forse, ma se le afferro la mano Lei lo sa riconoscere. Lei si fida di me, credo abbia capito chi sono e questo mi dà pace.

Ambizioni? Non so dirvi se ne ho. Ciò che realmente desidero è ricavarmi una mia strada ‘sana’ , normale… non so come altro definirla. Magari potrei fare il fografo o che ne so, il filmaker… dietro la macchina tutto si rende così evidente… così immancabilmente chiaro…

Per il resto, lo vedete. Sono uno che non ama mettersi in mostra o farsi notare. Preferisco non espormi e rimanere, semmai, ad osservare. E sottolineo osservare, che c’è una bella differenza con il semplice guardare…

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