Quell’ultima cena sul Titanic… rivive così

Quell’ultima cena sul Titanic… rivive così

Chi non conosce la leggendaria storia del Titanic e del suo imprevedibile inabissamento? E chi – diciamocelo – non avrebbe ambito, a suo tempo, destreggiarsi tra le atmosfere lussureggianti del cabinato, dei sontuosi saloni… di una nave pensata, alla guisa di un molosso? Indistruttibile, perfetta… ambiziosa, come il suo progetto?

Ebbene, se indietro è impossibile tornare è pur vero che, alle volte, l’esistenza ricrea, a nostro favore, condizioni similari, che ci riconducono in un climax ovattato, verosimile, se non del tutto vero; capace, comunque, di risvegliare in noi emozioni e quel sentore di memoria, che tutto ci fa sembrare reale, o quasi.

Così è, quando si parla della Rayanne House, boutique Hotel in quel di Belfast, direttamente in affaccio sul Belfast Lough, l’insenatura dalla quale la rinomata nave salpò, per la prima volta. Ed è qui che lo chef Conor McClelland ha pensato bene di far stampare il menù, direttamente sui biglietti del Titanic. Non solo, gli stessi interni del rinomato albergo, a cominciare dalle stanze, contribuiscono a ripercorrere le fattezze dell’imbarcazione.  

Ogni sera, dunque, e con meticolosità estrema, in cucina si lavora, nell’idea di riproporre, una dopo l’altra, le portate servite in prima classe. Nove, d’eccellenza, gustate, diversamente da quanto si racconta, dalla maggior parte dei passeggeri di allora, compresi quelli di terza classe.

Del resto, per comprendere appieno le intenzioni della White Star Line, basta dare un’occhiata alla struttura salariale: dopo il capitano, il membro dello staff con la retribuzione più alta era proprio il primo chef.

Tornando all’attualità, McClelland ripropone – dicevamo – le portate di quell’ultima sera di navigazione, datata 14 aprile 1912. Una serie di piatti, che recano evidente l’impronta del celebre Auguste Escoffier, all’epoca primo chef del Savoy Hotel di Londra, tra i più noti esponenti della cucina francese del XIX secolo

In linea con le tendenze edoardiane, pertanto, il cibo era straordinariamente ricco. Basti pensare che, a distinguere lo status sociale interveniva, nel maggior numero dei casi, proprio il girovita. Più gonfio era, tanto più lo doveva essere anche il portafogli. 

Stando all’élite, i pasti duravano un paio d’ore ed erano effettivamente considerati il divertimento principale della serata. “Personalmente, credo che sarei stato un edoardiano perfetto, dato che sono un grande amante della carne e la carne era molto apprezzata, all’epoca. Sul Titanic, le costolette di agnello venivano servite persino a colazione. Un modo eccellente per cominciare la giornata. Questa dieta, però, non aiutava certo il girovita“. Si precisa dalle retrovie.

Un modo compulsivo di alimentarsi, tanto da comportare la gotta e una serie di altre patologie dolorose, nel giro di qualche settimana. Non stupisce, quindi, che l’aspettativa di vita media, in quegli anni, fosse di 42 anni.

Un modo per avvisare gli avventori, ma qui il pericolo si riduce ad una notte.. “La maggior parte dei nostri ospiti è sorpresa di riuscire a mangiare tutte le nove portate; inoltre, ho adatto le porzioni al gusto di oggi. La lista originale comprendeva 11 portate e le porzioni erano indubbiamente più abbondanti. Il segreto sta nel distribuire il pasto in circa 3 ore“, si fa chiarezza.

La prelibatezza irrinunciabile? E’ l’artefice stesso a promuovere il suo “piccione arrosto con insalata di crescione, asparagi grigliati e vinaigrette allo champagne e zafferano. Adoro la combinazione di tutti i sapori insieme“.

D’altronde, McClelland desidera che i clienti tornino a casa soddisfatti e in maggior grado consapevoli di un passato che ancor di più li avvicini a Belfast e a quella che è la sua storia. Un’impresa, come verrebbe da dire, Titanica. Un progetto, in buona parte e almeno fin qui, a discapito pesino della sorte, di certo riuscito.

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