Chi ha paura del Mamba Nero…

Chi ha paura del Mamba Nero…

C’è chi lo conosce con il suo nome scientifico: dendroaspis polylepis  ma, per i più, resta il Mamba nero, vale a dire il rettile, identificato, nel 1864, dallo zoologo tedesco Albert Carl Ludwig Gotthil Grünther, più velenoso e letale di tutto il mondo.

E, per fortuna – ci sarebbe da aggiungere – si dimostra piuttosto restio nell’avvicinarsi all’uomo. Pur tuttavia e nonostante gli attacchi siano decisamente sporadici, può capitare che, sentendosi minacciato, decida di colpire e iniettare il suo veleno tossico, in grado di uccidere chiunque, in una manciata di minuti.

Oggi come oggi, certo, siamo dotati dell’antidoto, in grado di contrastarlo, ma ciò non basta a renderci sicuri, in un eventuale duello faccia a faccia. Una tossicità, però, quella dell’animale in questione, che siamo riusciti – per così dire – ad addomesticare, estraendone una sostanza in tutto simile alla morfina, che potrebbe avere un grande impatto sulla farmacologia.

CARTA D’IDENTITA’

Dal corpo sottile e potente, che gli permette di raggiungere la velocità di attacco di oltre 20 km/h, rendendo di fatto impossibile ogni tentativo di fuga, il Sette passi – c’è chi lo chiama anche così – può raggiungere, fatto assai inusuale, la lunghezza di quattro metri. Non solo. E’ in grado di muoversi agilmente su tutte le tipologie di terreno; può arrampicarsi e sa ergersi fino a un quarto della sua lunghezza.

Tant’è. Contrariamente a quanto si possa immaginare, il dorso si caratterizza per le sfumature, dal timbro olivastro: mentre il ventre appare chiaro. La denominazione deriva, piuttosto, dalle fauci, che il serpente spalanca in presenza di minaccia e che, abbinate alla testa, a forma di bara, nel tempo, gli hanno regalato l’accezione, pure, di ombra della morte.

Presente, in particolar modo, nel continente africano, soprattutto nelle zone della savana sub-sahariana, lo si può trovare – anche se di rado – nelle foreste, rispettivamente, dei Tropici e dell’Equatore, sempre lontano dai luoghi più densamente popolati.

Se dovessimo descriverne il carattere, lo riassumeremmo, del resto, solitario e schivo. Pronto a cacciare con la luce del giorno, per poi cercare riparo durante la notte. Le tane preferite? Rocce, buche scavate nel terreno e – pensate un po’ – termitai abbandonati. Qualora la zona, poi, ospitasse abbondante cibo e rifugi, è allora possibile incontrarne più di uno, in raggi d’azione ristretti, senza che questo comporti uno scontro. 

Viceversa, il discorso si fa più complicato. Nonostante si nutra di animali a sangue caldo, come mammiferi oppure uccelli, nel suo stomaco sono stati, spesso, recuperati altri serpenti.

E, ancora, il comportamento da predatore tende ad adattarsi – lungimiranza della Natura – al tipo di preda che capita nei paraggi. Qualora si tratti di un animale terrestre e di dimensioni contenute, quest’ultimo verrà azzannato al collo e avvolto in una spirale di morte. Diversamente, di fronte a fattezze più grandi, al morso seguirà la placida attesa, affinché il veleno faccia il suo corso.  A questo punto, come tipico nei rettili, mandibola e mascella si separeranno, per inghiottire intero il malcapitato di turno e lasciare che l’apparato digerente lo consumi.

Per quel che attiene al suo veleno, la cui letalità – lo ripetiamo – è altissima (in un sol colpo ne riesce a rilasciare 100 mg), risultato di un agglomerato di potenti neurotossine; va detto che, a renderlo ancor più particolare è la minore viscosità, rispetto a quello di altri simili. Ciò fa sì che possa penetrare nel sistema circolatorio della vittima, molto più velocemente.

Dicevamo della ricerca scientifica, alla quale dobbiamo i meriti di aver prodotto un antidoto adeguato. Ciò non di meno, un eventuale insuccesso non è del tutto escluso, per via di un ritardo – magari – nella somministrazione.

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