Un vampiro? E chi avrebbe mai immaginato di ritrovarlo sott’acqua

Un vampiro? E chi avrebbe mai immaginato di ritrovarlo sott’acqua

Nell’elenco delle creature pittoresche che popolano le profondità degli abissi, dove la luce non arriva e l’ossigeno scarseggia, abita il Calamaro Vampiro che, a dispetto del nome, non presenta nulla di pericoloso, né un animo aggressivo, ultimo membro vivente dell’ordine dei Vampyromorphida

I suoi antenati preistorici – del resto – sono stati rintracciati solo di recente, quando una serie di scavi, effettuati negli anni ’80 a La Voulte-sur-Rhône, ha permesso di entrare in contatto con una ventina di esemplari, appartenenti al Giurassico.

Le parti molli, ben conservate dal processo di fossilizzazione, hanno permesso di indentificarli come esponenti della nuova specie nota come Vampyronassa rhodanica.

Quella strana ed insolita creatura…

Ma come è fatto il protagonista della narrazione in esame, così scarsamente conosciuto? Va detto, come prima nota, che non supera i 30 cm di lunghezza (15 dei quali corrispondono al corpo gelatinoso) ed è dotato di tentacoli forniti di ventose, posizionate sulla parte terminale e unite, tramite una speciale membrana. Generalmente, si presenta di colore rosso o nero, in base alla profondità; mentre gli occhi sono globulari e piuttosto grandi, con un diametro di 2,5 cm. Le due pinne dorsali, poi, specifiche negli adulti, fungono da mezzo propulsore.

L’animale è interamente ricoperto di fotofori, organi luminosi, deputati all’emissione di bioluminescenze e, quel che più sorprende, il calamaro vampiro ne ha uno straordinario controllo. E’ in grado di modularne la durata e l’intensità, anche per diversi minuti. Lo scopo? Spaventare i predatori e, successivamente, allontanarsi dal pericolo. Estremamente agile è in grado, oltretutto, di compiere veri e propri scatti, anche se per un tempo estremamente breve.

Questo Signore delle profondità marine vive – lo abbiamo anticipato – tra i 600 e i 900 metri al di sotto della superficie, merito di un bioritmo più lento, in perfetta sintonia con condizioni, come quelle appena descritte, assai disagevoli.

Più buono di così…

E dicevamo pure che, nonostante il nome, non si tratta di un predatore degli abissi. Tant’è, si nutre dei detriti che si depositano sui fondali, le così dette nevi marine (plancton morti – nel dettaglio – materia fecale in decomposizione, alghe e altri materiali), che raccoglie tramite i filamenti ricoperti di piccoli peli ed ingerisce, dopo averli compattati, utilizzando il proprio muco, come collante. L’identico muco, che viene emesso, nei momenti di pericolo, per paralizzare l’eventuale aggressore.

Un altro modo per sopravvivere è, pure, la posizione ad ananas. In sostanza, il ‘nostro’ inverte la tunica sopra il corpo. Una mossa brillante, che gli dà modo, sia pur per breve tempo, di assumere dimensioni apparentemente più robuste.

Tra i nemici naturali, tra gli altri, le balene, che vengono ingannate, fingendosi morto.

Un aspetto interessante è quello, inoltre, legato alla riproduzione. A differenza degli altri cefalopodi, non depone tutte le uova in una sola imponente tranche; bensì, si articola in piccoli cicli, ripetuti e il motivo è presto detto. La suddetta strategia pare venga utilizzata per controllare il dispendio metabolico e sfruttare al massimo le poche scorte di cibo con le quali riesce a nutrirsi. Un vero piano di sopravvivenza, in sintesi.

Ultima curiosità, durante il proprio sviluppo il calamaro assume tre differenti forme morfologiche, in relazione al numero e alla posizione delle proprie estensioni. I più giovani si distinguono per la coppia di pinne, che diventano due nella fase intermedia e di nuovo una, in quella adulta. Ciò comporta, dunque, una certa differenza, anche per quel che concerne la cinetica.

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