#HairForFreedom: diamoci un taglio

#HairForFreedom: diamoci un taglio

L’hashtag recita #HairForFreedom e può considerarsi, oramai, simbolo globale di protesta contro il regime, in Iran. Un grido, che intende riappropriarsi della legittima libertà delle donne, dopo la morte di Mahsa Amini, avvenuta il 14 settembre scorso. Il volto della ventiduenne curda – arrestata e picchiata a morte dalla polizia, poiché non indossava correttamente il velo – è assurto, difatti, ad emblema di una rivoluzione, targata espressamente al femminile. Assieme, naturalmente, a quello di Hadid Najafi, uccisa – a sua volta – da sei colpi di arma da fuoco, durante le proteste.

Una rivolta, quella in atto, che ben presto ha valicato i confini del Paese, coinvolgendo donne e giovani di tutto il mondo, pronte a rinunciare alle proprie chiome, in favore della causa. Una manifestazione di solidarietà che ha viste protagoniste, in primis, le attrici francesi. Juliette Binoche, Marion Cotillard, Melanie Laurent, Isabelle Huppert e Charlotte Gainsbourg si sono tagliate i capelli, in video che hanno, poi, fatto il giro del web.

Alle colleghe d’Oltralpe, si sono – quindi – unite le star nostrane. Citiamo Claudia Gerini, Rocío Muñoz Morales, Belen Rodriguez. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la deputata svedese Abir Al-Sahlani, proprio nell’Aula del Parlamento Europeo di Strasburgo. Persino Marge Simpson ha detto addio alla sua testolina tutta blu: l’artista aleXsandro Palumbo l’ha ritratta in un murales (subito cancellato), di fronte all’Ambasciata Iraniana, in quel di Milano, priva della sua monumentale acconciatura.

Un’ondata, quella in corso, che ha finito per coinvolgere anche il mondo, al di là dei Social. Sempre nella città meneghina, ad esempio, la Triennale ha raccolto una gran quantità di ciocche, per poi consegnarle in Ambasciata. A Roma, invece, è stato il museo Maxxi a proporsi, come punto di raccolta.

Un gesto elementare, quello appena descritto. Eppure, denso di significato. Un segno di lutto, stando alle origini. La rinuncia alla propria bellezza, come afflato di diniego. La stessa ciocca, a ben guardare, che a Mahsa Amini è costata la vita.

Presa di posizione, che arriva, in seguito al altre, precedenti. Già lo scorso luglio, le donne si erano abilitate, nel corso della Giornata Nazionale per l’Hijab e la Castità in Iran, mostrandosi senza velo, in pubblico.

Un dissenso che si sta diffondendo, via via, ovunque e che suona di rivoluzione. Sorta di mutilazione, fortemente legata al valore identitario.

Come si legge ne Il linguaggio dei capelli, a cura di Massimo Baldini e Costanza Baldini (2004, Armando Editore): “i capelli e le relative acconciature contribuiscono, insieme agli altri elementi dell’abbigliamento, alla costituzione della propria immagine corporea“. Sinonimo, tra l’altro, di appartenenza religiosa, politica e sociale.

Eppure, le carte, qui, si rovesciano. Il bisogno è più grande. Ribaltare, cioè, le convenzioni. Dolorosa riconquista di quanto di prioritario viene estorto. Attribuzione, pure, di immenso coraggio, nel ribellarsi ad un regime, primariamente; ma anche nel fare i conti con la propria immagine riflessa.

Capelli lunghi, raccontano numerosi studi, percepiti, sovente, come forma di potere, esternazione di sensualità e, forse, in aggiunta, ricerca di accettazione, da parte della Società. Oggi, però, che in gioco c’è di più, l’unico modo per continuare a guardarsi allo specchio è farlo, sapendo di aver rinunciato ad una piccola parte di sé. Un frivola, effimera, parte di sé… nell’ambizione di un futuro migliore.

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