Marilyn e quella gravidanza che non arrivò mai

Marilyn e quella gravidanza che non arrivò mai

Mi hanno voluta, a tutti i costi, femme fatale. E piuttosto che concedermi l’attenuante di attrice talentuosa, hanno preferito girare la testa. Hanno semplificato il tutto, voltati, adducendo al mondo che ero fragile. Bella, ma fragile. Così, hanno risolto e si sono messi in pace la coscienza.

Dio, come lo hanno fatto bene… tanto, bene… che neppure Io sono mai riuscita a comprendere dove risiedesse il confine tra quel che si diceva e quel che realmente, era. O meglio, ero. Come un pendolo in continua oscillazione, ho spasimato per quelle che, allora, venivano definite ‘le luci della ribalta‘. Bramavo e sospiravo – al pari di numerose altre – affinché venissi notata. Volevo sfondare. Avrei fatto di tutto, per sfondare. E, invece, ho finito per lasciarli fare…

Permettere loro di trasformarmi nello stereotipo della bionda e stupida. La ragazza dalla risata facile, dalle pose provocanti. Dire che mi sono impegnata. Ho dato anima e corpo per imparare: recitazione, canto, ballo… ci sono affondata, con tutta me stessa. Che male c’è – ditemi voi – nel voler esser considerata per ruoli che non fossero i soliti. Cercavo spessore. Ho finito per infrangermi, solo, con l’evidenza di un fisico che parlava di provocazione, capace di nutrire le fantasie. Protagonista, mio malgrado.

Lo stesso corpo, che Mai ha saputo rendermi madre. A cosa siano serviti tre matrimoni, ancora me lo chiedo. Non certo a coronare quella che, più che un sogno, si forgiava del marchio di esigenza.

James Dougherty fu il primo. Avevo appena 16 anni quando, nel 1942, mi impalmò. Un disastro… non occorre che ve lo dica. Poi ci fu Joe. Già, Joe DiMaggio. Erano trascorsi 12 anni ma neppure allora, benché ci amassimo sul serio, funzionò. Arthur… il mio Arthur… a Miller rimasi legata – di più, avvinghiata – dal 1956 al ’61. Caspita, con Lui c’eravamo quasi riusciti. Peccato, l’aborto spontaneo… Non sono la prima, né l’ultima. Vero.

Nel ’57 ci riprovammo. Gravidanza extra uterina fu il responso. Ancora, nel ’58, durante le riprese di A qualcuno piace caldo, risuccesse. Vorrei potervi raccontare di custodire, al riguardo, bei ricordi. Al contrario, mi ritrovai a fare i conti con l’endometriosi. Fu l’ennesimo incubo, tranne che per il successo al botteghino.

C’è chi attribuisce a questi miei problemi, l’uso progressivo di farmaci. Gli analgesici, i tranquillanti, gli ipnotici… poi, mi sono spinta ancora più in là. Perdonatemi, non mi sento, ora, di affrontare anche questo racconto. Del resto, la mia biografia la conoscete bene. Non serve davvero che ci ritorni Io…

Billy Wilder rivelò, sul mio conto: “Non ho avuto problemi con Monroe. Monroe ebbe problemi con Monroe. Aveva problemi con se stessa“. Ah… mai analisi fu più dettagliata… e confacente alla realtà.

Ho scelto di non esserci più, ho dismesso i panni da Diva, prima ancora di quelli da essere umano, tra le 20:30 e le 22.30 del 4 agosto del 1962. Il rapporto tossicologico sentenziò avvelenamento acuto da barbiturici. Un’overdose ‘accidentale’: è questo che, all’inizio, provarono a far credere alla gente, ma i dosaggi presenti nel mio corpo erano troppe volte superiori al limite letale.

Poco conta. Il coroner registrò la mia dipartita come probabile suicidio. Anche se la questione, tuttora, rimane aperta.

Ecco, Io mi domando cosa ne sarebbe stato di me se, anziché sprofondare nello stato di figlia mancata, irrisolta… fossi riuscita a sperimentare quello di madre: affettuosa, attenta, premurosa… sì, è così che mi immagino… istantanea di una donna semplice, semmai persino banale. Eppure dolce, presente, radice salda, a favore del frutto di un concepimento, elemento di puzzle, ahimè, mai risolto…

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