Maneskin: santi o peccatori… chisseneimporta! Piacciono. Anzi, ‘ci’ piacciono

Maneskin: santi o peccatori… chisseneimporta! Piacciono. Anzi, ‘ci’ piacciono

C’era la location: Palazzo Brancaccio, a Roma. C’era l’officiante d’eccezione: l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele. Spiccavano, poi, tra gli ospiti, nomi eccellenti, da Sorrentino a Dybala, da Baz Luhrmann ad Elisa… e così via. C’era persino il lancio del riso – badate bene, nero – a testimoniare l’attendibilità di una cerimonia, che voleva seguire tutti i crismi delle più consuete.

Un matrimonio, insomma, secondo prassi, solo che a sposarsi era… una band musicale. Insomma, i Maneskin l’hanno fatto: si sono giurati, all’altare, eterno amore.

Damiano, Ethan, Thomas e Victoria volete prendervi in matrimonio, promettendo di essere fedeli l’un l’altro sempre, nella gioia e nel dolore, nell’amore e nell’onore, ogni giorno delle vostre vite?“, questo si chiedeva loro, per mezzo della rinomata formula. “Yes!”, è stata la risposta dei quattro componenti, che non si è fatta attendere.

Un’omelia, benedetta, non a caso, da Apollo, divinità della musica, a conferma di quanto il connubio tra gli artisti sia e voglia rimanere saldo.

Spettacolo – dunque – gossip, promozione… tutto, sottomesso alle regole che servono, se si intende lanciare il nuovo album, senza eccezione di colpi. Non sono mancati neppure il velo e il tradizionale lancio del bouquet

Intanto, in America

In quel d’Oltreoceano, il giornalista Spencer Kornhaber ha firmato un editoriale, per la rivista The Atlantic. “Questa è la rock band che dovrebbe salvare il Rock and Roll?“, il titolo, a testimonianza dei forti dubbi, rispetto alle doti artistiche dei ragazzi romani.

Rush! è l’ultima produzione ed esce proprio oggi, 20 gennaio. Lavoro, che evidentemente non trova il favore del critico, che così si esprime, al riguardo dei brani presenti: “chiaramente riciclati e sfacciatamente mediocri; che l’idea del gruppo che accende una guerra culturale tra rock e pop sembra tragica, nella migliore delle ipotesi“. Prima stoccata, a cui fa eco l’analisi dei testi: “timidi tentativi di scioccare e provocare fastidio“. Un bilancio catastrofico, a sua detta, offuscato solamente da “un’esposizione televisiva memorabile“.

Ben poca cosa, tuttavia, se la si confronta con le critiche, ancor più acri, rivolte al gruppo dal maestro Uto Ughi: “Maneskin sono un insulto alla cultura e all’arte“.

Accanimento? Ughi, che ha iniziato a frequentare i corsi musicali a soli dieci anni, per poi passare ad insegnare, ha voluto chiarire: “Non ce l’ho particolarmente con i Maneskin. Ogni genere ha il diritto di esistere, però quando fanno musica e non urlano e basta“. C’è carenza nell’istruzione, si denuncia, “emergono lacune spaventose“.

Tutto vero, indiscutibile e il pensiero sarebbe anche condivisibile, se non fosse che a bypassare ogni tipo di polemica ci sono loro, belli come il Sole, Damiano in testa e sfrontati. Pronti a prendersi il mondo, senza chiedere permesso. Solo, fieri, esuberanti, sfacciati, magari, ma si sa… questa è l’età e, comunque, consci di ciò che sono. Magnetici, in barba a tutti, rispetto al pubblico di riferimento.

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