No, Chef! Non è più il caso…

No, Chef! Non è più il caso…

Sull’onda di quel che proponeva la tv, ubriachi del successo che trascinava con sé la trasmissione, tutti – o quasi – neppure troppo tempo fa – ambivano a diventare cuochi. Merito della fascinazione esercitata da MasterChef, secondo molti. Allure di un sogno che era finalmente possibile realizzare, stando alle comuni illusioni, con poco. Fantasia accessibile e, per questo, non più chimera ma, anzi, legittima ambizione.

Fatto sta, gli istituti professionali pullulavano di richieste… e di allievi. Questo, quanto accadeva, ieri. Oggi… non più. Ora, al contrario, si parla di crisi. Si è consumato, evidentemente, l’effetto del Talent show culinario ed, in contemporanea, si è evidenziata una vera e propria emorragia di iscrizioni.

Un – 47,1%, la cui causa, secondo i dirigenti d’istituto, va individuata nel processo di licealizzazione. La tendenza, vale a dire, a sottintendere il reale valore delle scuole in questione e la diminuzione delle ore di laboratorio, in sostituzione, invece, della teoria.

Le cifre, al riguardo, parlano chiaro. Si è passati da un numero di 64.296 iscritti, nell’anno scolastico 2014/15, agli appena 34.015, nel più recente 2021/22. Dati che, stando a quanto riporta l’Osservatorio ristorazione sono ancor più risicati. Un calo drastico che, in un paese che regge la sua economia soprattutto sul turismo, non può venire sottovalutato.

E’ stata – secondo chi ne sa – una bolla, dovuta non solo a MasterChef ma a una politica sull’ orientamento scolastico scorretta. Sono diversi i fattori che concorrono… – tra cui – il fatto che il settore del turismo abbraccia l’area dell’ enogastronomia e dell’ ospitalità alberghiera, che offre lavoro ma senza sicurezza contrattuale“. La percentuale, insomma, di chi esce dalle scuole e trova posto nell’ambito in analisi è minima.

Ancora: “Un ragazzo che fa il cameriere rischia di restare con lo stesso stipendio per anni e, al massimo, diventa caposala“. Dura lex, sed lex… direbbero i Latini.

Chef cooking in restaurant kitchen

In sostanza, volendo dar credito al racconto di chi è dietro le quinte: “Sono state tolte le ore dedicate ai laboratori tecnico pratici e, per i ragazzi, è diventato memo affascinante iscriversi alle scuole. Si è dato più spazio… a matematica, fisica, chimica, arrivando a fare solo quattro ore di laboratorio la settimana. Prima del 1992, erano persino diciotto“.

Che il professionale si sia trasformato in una sorta di liceo del gusto? Certo, è difficile fare analisi, ma un orientamento più precoce, quello sì è necessario, eliminando la tendenza ad una cultura, esageratamente nella direzione del pur parlaire. “In quest’ultimi anni c’è stato il timore, da parte delle famiglie, a far intraprendere un percorso in un settore in crisi e poi va cancellato lo sfruttamento che c’è dei ragazzi“.

Tema, quest’ultimo, rifocillato persino da chi – figlio d’arte – è a stretto contatto con i grandi: “Purtroppo ci sono persone, nella nostra categoria, che si approfittano dei giovani e questo fa male. Dobbiamo, invece, stringere… sempre più rapporti con le scuole, per maturare una cultura legata al mestiere. Oggi è difficile anche far capire ad un giovane cos’è fare la gavetta, farsi un bagaglio di conoscenze, pagato regolarmente ma con un po’ di fatica, di sacrificio, come abbiamo fatto tutti noi, in ogni occupazione“.

E se la tv ha il vanto di aver suscitato attenzione, promuovendo questo tipo di occupazione, ora occorre lavorare in sinergia tra i vari interpreti, per non sprecare un’opportunità, che ci vede ancora una volta protagonisti: noi, popolo di santi, di navigatori… seriamente alle prese con i fornelli.

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