Merope’s Tales (capitolo 10)

Merope’s Tales (capitolo 10)

Avete presente il Bianconiglio? Ricordate, quello perennemente alle prese con il suo orologio, indaffarato alla rincorsa del tempo? “E’ tardi! E’ tardi!“, è il suo grido allarmato e si dimena, convinto di dover colmare un fantomatico vuoto. Così, assorbito dalla conta dei minuti, quasi non si rende conto di sé e di quel che gli capita attorno…

Che sia un modo – sofisticatissimo – per sfuggire alla realtà? Che si tratti dell’escamotage per ricacciare indietro gli incubi? Un po’ me lo domando, adesso, che ho di fronte Lei, che per voi tutti indossa il nome di Kaoru Bloom.

Ebbene, Lei è il mio Bianconiglio. Lei, con quel suo fare sempre preciso, al pari di un soldatino ben addestrato. Canarino dagli occhi vispi e il corpo di Libellula, con le chiome scomposte e lo sguardo fragile di bambina è puntuale, rigorosa, disciplinata. Sembra proprio non intenda concedersi nemmeno la possibilità, di sbagliare.

Ecco, in questa mia introduzione al Burlesque, potreste redarguirmi. Sentenziare che, in fondo, Carola è ‘una delle tante’. E invece no. “Obiezione, vostro Onore!“, se di processo si tratta. “Mi oppongo!” E lo faccio, con tutto il fiato che posseggo in gola.

Perché Lei, assomiglia più ad un brivido lungo la schiena, Indossa i tratti dell’estate che arriva all’improvviso. E’ delicata come l’acqua che scorre; ma che succede se, tempestivamente, cambia temperatura? E’ la natura sovversiva di tutte le cose.

Perché a questa bizzarra bambina piaceva molto far finta di essere due persone…” Le parole, le rubo allo stesso Lewis Carroll, già che ci siamo.

Una bimba capace di incantare…

Per quanto tempo è per sempre?“: chiese Alice al Bianconiglio e egli rispose: “A volte, solo un secondo“. E così è Lei, che nell’arco di una manciata di secondi sa trascinarti altrove. In quei suoi mondi incantati e sempre differenti, dove riesce ad assumere le fattezze di chiunque desideri.

Trema, mentre ondeggia con i fianchi, mentre – aggraziata – assume le sembianze di usignolo. Danza e assieme, fa poesia. Ecco perché desidero la conosciate. Perché è un essere speciale…

Ogni cosa possiede una sua morale, se si sa trovarla“. Cito ancora Alice. Del resto, stando come stanno le cose, non potrei fare altrimenti. E, se la guardo. Intendo se la osservo a fondo, se sosto a scavare appena, nel suo cuore, mi sembra di intravedere la medesima scritta.

Immaginazione? Fascinazione? Posso scoprirlo solo scendendo più giù, ma lo vedo già – si intuisce – che Lei, proprio lei, è fatta apposta per questa mia storia…

Dunque, da dove iniziare… ci rifletto. Poi mi accorgo, semplicemente, che sono; anzi, siamo già all’interno delle risposte. Non resta che perderci, insieme…

È sempre l’ora del tè e, negli intervalli, non abbiamo il tempo di lavare le tazze“.

La invito. Mi invento una chiave che non risulti scontata. Intendo scivolare nel corridoio del suo inconscio, se posso, se riesco e accarezzarle l’anima, proprio come si fa con i gatti quando, poi, ti ricambiano con le fusa. Evito di strafare, di forzare…

La curiosità“, mi risponde nel sunto di una sola parola. “Immergersi in una situazione e poi andarne a scoprire un’altra“. Lascio che sia, non le domando di più. Proseguo, invece.

Guardate al senso. Le sillabe si guarderanno da sé“. Siamo dentro la fiaba o forse no, è la fiaba ad abitarci, mentre parliamo…

E’ la chiave di lettura della realtà. Il mondo parallelo che ognuno di noi si costruisce: per salvarsi da qualcosa, perché funziona così. Sono gli universi che dimorano dentro di noi. I nostri racconti”. Lo sapevo. Tutto si può raccontare di Lei, tranne che sia banale. Così, continuo ancora sulla medesima strada.

Le varie branche dell’Aritmetica: Ambizione, Distrazione, Mostrificazione e Derisione. “Come mi confondono tutti questi cambiamenti! Non so mai di preciso cosa potrei diventare, da un momento all’altro“.

E’ il sorprendersi ogni volta di se stessi“, commenta. Scoprirsi, allo stesso tempo, meravigliati e persi.

Le osservazioni del Cappellaio sembravano insensate, eppure parlavano la stessa lingua! Già. In questo preciso momento sono io, proprio io quel Cappellaio, folle e apparentemente incomprensibile. Mi sono voltata a testa in giù, per modificare la prospettiva da cui investigare non solo su di Lei, ma anche sul resto di quel che è attorno.

Le erano successe tante cose straordinarie, che Alice cominciava sul serio a credere che, per Lei, non ci fossero cose impossibili“.

Viviamo in una realtà“, mi risponde, “in cui le connessioni sono infinite“. Occorre saper interpretare i segni, gli eventi… E’ un po’ come un tempo, quando esistevano gli aruspici… Si agiva, stando alla “lettura del volo degli uccelli“. Del resto, non è forse questa l’era, per antonomasia, del dialogo, della comunicazione?

C’è una profondità di realtà ovunque che, effettivamente, è interessante, no?” Che succede? Si sono forse invertite le parti? Furbetta. Adesso ci penso io: “Di solito, Alice si dava degli ottimi consigli, però poi li seguiva raramente“.

Ahahah!“, si abbandona ad una schietta risata. “Un po’ me lo rivedo, sì, perché ognuno di noi è fornito di una parte razionale e si vede dal di fuori e, poi, c’è lo scombussolamento emotivo“.

Sapeva che sarebbe stato sufficiente aprire gli occhi per tornare alla sbiadita realtà senza fantasia degli adulti“.

Ride ancora. “Sicuramente la mia tecnica è l’alienazione!” Poi, si fa di colpo più seria: “Diciamo che è una tecnica connaturata da quando ero veramente molto piccola…”.

Ma allora” – disse Alice – “se il mondo non ha assolutamente alcun senso, chi ci impedisce di inventarne uno“.

Qui si fa quasi filosofa…”Ciò che sento importante è inserire, in un mondo che non ci soddisfa o non ci piace, parte integrante di quel che desideriamo“. Renderci responsabili e metterci in prima persona per operare i cambiamenti. Sono gli atti delle persone che riteniamo grandi, quelli che hanno saputo fare la differenza, no? “Responsabilizzarsi, nel fare qualcosa di importante“.

Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com’è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa! Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe“.

E’ il problema delle categorie. Intendo delle etichette… il giusto e lo sbagliato“. Guadagnarci la libertà, scardinando i confini che, spesso, ci costruiamo. “Purtroppo, tutto quello che abbiamo è culturale… basterebbe guardare oltre“. Liberarsi dai preconcetti, ripulire le forme… in sintesi, è questo l’esercizio che mi propone.

Prima eri molto più moltosa. Hai perso tanta della tua moltezza“. Adesso la risata è fragorosa… “Tu mi vedi così?


Il segreto, cara Alice, è circondarsi di persone che ti facciano sorridere il cuore. È allora, solo allora, che troverai il Paese delle Meraviglie“.

In un’alternarsi di ritmi e di umori, torna grave. “Le persone sono importanti. Per tanti anni mi sono chiusa dalle relazioni sociali, per proteggermi e tuttora non è facile. Però è vero: quando c’è una sottile linea di amore il cuore si riempie e si creano gli arcobaleni!”

Lasciamo andare il cielo e concentriamoci… sulla bipolarità. Cos’ è? Non avete imparato ancora a conoscermi?

Mi sono avvicinata al Burlesque perché, pur avendo studiato danza” – nel suo bagaglio c’è un lungo periodo, dai 9 ai 17 anni, di frequentazione del Teatro dell’Opera – “mi sono sempre attenuta alle direttive dei coreografi. La conoscenza acquisita non l’ho mai fatta veramente mia. Sono rimasta legata a tutta una serie di canoni. Il Burlesque mi appariva come un campo aperto e lì, ho iniziato a coltivare…

D’altronde, “il Burlesque poteva realmente tirare fuori qualcosa di mio, attraverso un linguaggio che, sì, necessita di canoni ma non ingabbia“. Paradossalmente, gli stessi codici – confessa candidamente – inizialmente l’hanno ricacciata dietro le sbarre. A salvarla? Che ci crediate o meno, Salomè. Contagiosa, nella sua follia.

Non dovevo togliermi le calze. Anzi, non solo non indossavo i tacchi ma, addirittura, ballavo scalza, senza guanti…“. In più, contava l’obiettivo. “Perché ti spogli? Perché ha un intento, Salomè. La sua danza dei 7 veli mi ricollegava al mondo maschile, nei confronti del quale mi sento in eterna lotta…“. Tangenzialmente, si confida, mi costringeva a fare i conti con me stessa.

Pensare che, all’inizio, non volevo neppure esibirmi. Al primo saggio ho fatto la Stage Kitten. Mi occupavo… del corollario e mi andava bene così. Ci ho impiegato oltre un anno per accettare di performare sul palco. Poi, la mia mamma – Grace Hall – la mia mamma Burlesque, mi ha suggerito di leggere la Salomè di Oscar Wilde e, straordinariamente, inaspettatamente perfino per me stessa, l’approccio è cambiato. “Ci ho messo tre minuti per montare il numero“. La vergogna è svanita, in un nonnulla e mi si sono spalancate le porte della libertà.

Ritorna al Teatro dell’Opera, per spiegarmi meglio. “Mi ero chiusa, attraverso quell’esperienza fatta di dinamiche che mi hanno ferita fortemente, in un mondo dove manifestavo poco me stessa. Me ne sono resa conto dopo… “. Chiarisce: “Le cose le ho sempre fatte: mi sono laureata in Storia dell’arte, ho lavorato come guida turistica, mi sono impiegata nella disciplina circense… eppure, il Burlesque si è reso interprete di nuovi spiragli: i viaggi, l’incontro con persone differenti… Lo spogliarello, in breve, ha permesso di svelare me stessa… a me stessa“.

Poi mi fa l’esempio della cipolla e lo trovo così calzante, che l’immaginazione mi si concentra tutta lì, nello svelamento di infiniti strati, alla ricerca di un nucleo dal sapore intenso. Scomodo, magari ma vero.

Mi si concede ancora e mi dice che, tuttora, c’è un’indagine in corso e che il Burlesque, a suo avviso, è la parte di un tutto. La perfetta combine tra più arti.

Un aggettivo per definirti? Le chiedo, a bruciapelo ma la più sorpresa rimango io: “Curiosa… e ramificata“. Spiega: “Sento la libertà nel caos. Alla fine vedo i collegamenti in tutte le cose. Quando ho a che fare con il settoriale mi irrigidisco. Approfondisce, ulteriormente: “Il problema è che, nel frattempo, nella conquista della libertà, mi perdo!“. La scopro consapevole, autoironica. Mi convince, nel prosieguo di un viaggio di minuto in minuto più interessante e, per certi versi, inaspettato.

Introduciti nei panni di banditore, ora. Convincimi a comprare… il pacchetto Burlesque!Partirei dall’importanza dello sguardo. Fondamentale è creare un collegamento“. Poi, una volta scattata la scintilla, mi ricorda che le chiavi di esplorazione sono infinite. Si può giocare con il sense of humor, ammiccare, rendersi conturbanti; c’è chi ammalia con la voce… per non parlare del fatto che l’esperienza, quella pregressa, fa da supporto a competenze inedite e in questa scuola stramba e un po’ bislacca le regole sono ‘non regole’.

Mi torna in mente la tavola imbandita all’ora del tè, tutti intenti a festeggiare il ‘non compleanno‘. In fondo, non mi ero allontanata poi così tanto… “Sono io, ancora in ricerca“. Spiazzante, spara: “Devo dire che ancora io, personalmente, devo capire cosa sia per me, il Burlesque!“.

La sfido: giochiamo ancora. Fingiamo di dover redigere un articolo giornalistico. Dobbiamo, per forza di cose, assolvere ad una serie di domande.

Come: “Come, ad esempio, catturi l’attenzione del pubblico?”. Cosa: Cosa ti permette di tirare fuori aspetti di te che tieni più nascosti?” Quando: “Quale è il momento in cui riesci a ritagliare del tempo per te stessa, ammiccando, magari, davanti allo specchio?Dove: “Quale luogo scegli per svolgere il tuo esercizio?Perché: “Tendenzialmente, scelgo di fare le cose perché sono un veicolo di conoscenza per me stessa”.

Tradotto: connessione con il corpo, imprescindibile, che arriva attraverso il movimento. Mi fa l’esempio della percezione dello spazio: “Io la do per scontata“, ma mi rendo conto che tale non è. Non per tutti, almeno. In questo senso, le discipline acquisite fanno da tappeto all’oggi. “Sovente, non me ne rendo neppure conto“. Si apre, man mano: “Attraverso il Burlesque, vorrei tirare fuori una parte di me più leggera“. Come a dire che l’applicazione costante, nel caso specifico, non l’ha ancora condotta dove contava e conta di arrivare.

Seguendo la rotta, sull’onda del “respiro“, che fa degli stessi personaggi interpretati figure sempre diverse. “Mi piace che nel Burlesque ci sia un racconto e, in qualche modo, una metamorfosi“. E’ la vita, in fondo, che sconvolge, modifica, forgia, scompone… a suo capriccio. Così, sfogliando un giorno le pagine – irretita dall’Oriente – de La danzatrice di Izu, Carola scoprì la storia di una ragazza. Una circense, dalla personalità poliedrica. Un breve racconto itinerante che aveva tutta l’aria di essere tagliato apposta su di Lei. E’ così che è nata Kaoru: Essenza di fiori. Bloom, altro non è che la fioritura.

Nel suono, mi ricorda un po’ le bolle di sapone, non trovi?“, mi chiede.

L’ascolto e mi rendo conto che i nomi nascono, il più delle volte, per uno strampalato giro di circostanze. Stanno zitti zitti, lì, ad aspettarci, come vesti da indossare e che nessun altro potrebbe portare al posto nostro. “In realtà, la parte più profonda di Kaoru la devo ancora scoprire. Essendo un nome di derivazione giapponese, mi apre la possibilità di approfondire il campo dell’erotismo orientale“. Un universo fatto di rituali e verso il quale nutre – Carola – un profondo rispetto. “La figura della Geisha mi può affascinare, certo, però non la farei. Peccherei di superficialità“. Volendo attingere, invece, alla dimensione più fumettistica e scanzonata di un patrimonio culturale talmente ampio, da lasciare infinite possibilità interpretative. “Partirei, nel caso specifico, dal costume. Un costume, ideato apposta su di me“.

Fatto sta, a Kaoru mi devo ancora ricongiungere“. Intanto, nell’attesa, ha vissuto la sua esistenza di farfalla, da bozzolo a crisalide… si è resa interprete del mito ‘fatale’ che prende a protagonisti Apollo e Dafne. La ninfa che, pur di sfuggire al Dio, preferisce trasformarsi in un albero. “In soli 4 minuti, non era semplice far intuire il senso della fuga, l’inquietudine… utilizzando accessori che attengono principalmente al Burlesque. Il velo, ad esempio, solitamente adoperato come mezzo di seduzione, diventa, nelle circostanze specifiche, formula di mascheramento“.

In quanto alla Salomè, l’ho sperimentata nel tempo. E’ quella che ho messo più in ballo. Estirpato il tormento o la volontà di espiazione nei confronti del mondo maschile ho dovuto, cambiata Io, reinventare anche Lei”. Personaggio, non più esternazione di un disagio ma inteso come atto performativo in cui, tuttavia, era tenuta a ritrovarsi. “Avrei dovuto comunque abitarlo…“.

E, se l’ispirazione è spesso dettata dall’inseguire “quel che più le piace“, il senso di appartenenza è la molla che la spinge ad affondare in un processo creativo, che si basa su presupposti mai uguali a se stessi. Mi strappa un sorriso quando mi racconta che la sua modalità di ricerca assomiglia tanto allo stand by. E ride, con me, anche Lei. “Nel senso che sono ricettiva: vedo film, ascolto musica… lascio fluire e mi metto nella condizione di captare. Finché non dico: Eureka! Fin’ ora”, specifica, tuttavia, “ho scelto il personaggio, come primo passaggio; ho pensato al costume… personalmente, la musica è arrivata sempre in un secondo momento“.

Anche qui, nulla è per caso… “Avevo 22 anni e lavoravo in un museo. Un giorno, un mio collega mi ha detto: ‘L’unica cosa che manca nella tua vita è la musica‘. Imparata la lezione, ma sottolinea: “non voglio lasciarmi condizionare. Non voglio rischiare di inficiare la performance seguendo i miei gusti”. Ve lo dicevo. è il Bianconiglio!

Proseguiamo, in un colloquio che dura ancora a lungo ma che, non per questo, si fa meno intenso o arricchente.

Non vorrei tediarvi, quindi preferisco alimentare l’attesa, proprio come insegna il mentore Casanova. Godimento e attesa, questo solo vi domando. Ancora un po’ di tempo da dedicare alla piccola Stella che ho tra le mani e qualche breve istante per riprendere fiato. Poi, saremo pronte a continuare…

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