Diario di A.
ATTO VII: “Cogli l’attimo!”
…e, per una volta, non sono Io a ribadirlo a me stessa. Distratta in questa corsa pressoché disperata che ho intrapreso da poco, non me ne sono accorta. Non ho ascoltato con la dovuta attenzione il messaggio che, neppure troppo subliminalmente, mi si inviava. Non ho voltato la testa abbastanza, per accorgermi che ‘qualcuno‘ mi stava cercando.
Troppo presa nelle mie cose; troppo assorbita dalle incombenze e coperta, pure, dalle perplessità. Forse dovrei essere più coraggiosa e chiamarle per quelle che sono: paure. Timori che, come ombre, si ingigantiscono, osservate sotto una certa luce e creano nuovi mostri…
Cosa succede se mi fermo e ascolto il mio corpo? Cosa può accadere se, quello stesso ascolto, lo rendo poi carne? Così, inizio a ‘fare cose‘. Salgo in macchina e corro, laddove il mio cuore mi dice e lì, attendo. Attendo di misurarmi con me stessa e di vedere… di assistere al film che verrà, senza sognarlo a priori; evitando accuratamente di preventivarlo. Per non rimanere delusa. Più ancora, per rimanerne sorpresa e affascinata e tale è, in taluni momenti.
Così, mi trovo ad oscillare tra attimi di gioia piena, infinita, intensa ed altri, esattamente speculari, in cui precipito, o tale – almeno – rimane l’impressione. Mi inabisso, preda di incubi mai accantonati; rapita nel bel mezzo di un vortice che mi trascina chissà dove. Ingoio inquietudini e mi sforzo di ricavarne fiori.
“Ti ho trovata qui, ora ti prego rimani per un po’
Posso andare avanti se tu sei qui intorno
Ti stringo, mia vita mortale, ma sarà così per sempre?
Avrei fatto qualsiasi cosa per un sorriso, stringendoti prima che il nostro tempo finisca
Entrambi sappiamo che il giorno arriverà ma non voglio lasciarti…”.
Sciocca, frettolosa gatta. Non hai valutato abbastanza, mi ripeto. Non lo hai guardato negli occhi, per un tempo che ti aiutasse a capire. Sufficientemente intelligente Tu, ma non al punto tale da interpretare le parole di chi le parole – appunto – non le usa, se non così, facendosi scudo di quelle di altri.
“Qui è vuoto e freddo senza di te...”. Ma davvero mi stai dicendo questo? Mi chiedo. Davvero lo rivolgi al mio cospetto il messaggio o non è, invece, solo un caso. Una coincidenza strampalata, secondo cui il testo di una canzone che ti piace finisce per assomigliare al momento. Se mi guardi, ancora adesso, dopo un tempo infinito, vedo bellezza. Se ti avvicini, sento riposo. Se mi sfiori arriva forza; la potenza che ti caratterizza da sempre e riconoscono – uguale – proprio in me che, al contrario, sembro uno scricciolo.
Se mi baci, o ti bacio, mi sento appagata. Se mi tieni stretta a te, mi percepisco come la Regina del mondo…. Questo è, dal primo istante. Dovrei smetterla di allontanarmi, schermandomi nella convinzione che tanto durerebbe poco. Che Io più Te non ha mai fatto Noi. Oh, non che mi sia ingannata. Seppur avessi peccato di ‘eccesso di zelo’ non mi sarei comunque allontanata di tanto, ma il punto è un altro.
Il fatto è che, adesso, avrei dovuto parlare di case, di nuovi lidi all’orizzonte. Avrei dovuto raccontare di come rende entusiasti indossare le ali eppure, no. Mi ritrovo a volere… anzi, no. Mi ritrovo ad indossare la necessità di raccontare ancora di Te. Sono morta e rinata non si sa quante volte, oramai, al tuo fianco ma continui a rimanermi solido addosso. Nero Tu ed Io non più Sole ma divenuta talmente parte del tuo buio da essersi invertite, paradossalmente, a tratti, le parti.
Si tratta di un delirio consapevole, annunciato. Già, perché mi hai appena insegnato che la coscienza c’è ed rimane ieratica, immarcescibile, sempre uguale a se stessa; mentre la consapevolezza ne rappresenta la misura. Il grado di capacità che proprio la coscienza possiede nel riconoscersi… Me lo spieghi Tu, Amore, che non so come altro chiamarti da quando ti conosco. Mi inviti a ritrovare una dimensione in cui il Duale occorre per guardarsi allo specchio e individuarsi per ciò che si è. Fai filosofia, mentre comodamente ti poggi su di un vecchio divano ed Io, magicamente, smetto di dar voce alle immagini che mi affollano la testa. Sono pochi e preziosi secondi in cui, anziché riflettere, vivo.
Mi spogli, in ogni caso, come sai fare da sempre e, se non sono i vestiti quelli di cui mi privi sono, stavolta, i pensieri. In questa dimensione onirica e indistinta riesci ancora a catturarmi… Sai perfettamente dove mirare, del resto, dove andare a colpire, per poi affondare la presa. Vinci ogni volta Tu, non è così? Del resto, ognuno di noi, nel nome, non ha forse scritto anche il proprio destino?
Così sia, mio bellissimo fiore mai appassito. Mia pianta carnivora affamata di Amore e chissà se, anche, del mio, di Amore… Ti accarezzo e, intanto, a mo’ di formichina, mi muovo verso di te che sei scritto nelle vene, che esisti da subito, che tracci volontariamente la linea di un destino non ancora chiaro, almeno per me…
Vi aspetto. Attendo i vostri consigli, i commenti, gli sfoghi, o tutto quel che vi attraversa la mente. E’ un portfolio di idee e riflessioni questo e quel che se ne ricava – ne sono convinta – può rivelarsi in ogni caso utile, non soltanto per me…
Scrivetemi! Scrivete a Diario di A.: evamielefederica@gmail.com Sarà un piacere ascoltarvi, rispondervi, confrontarci insieme…