Arsenico… e vecchi merletti (ben inamidati)
Il libro si intitola, come di rigore e come è giusto che sia, Arsenico e altri veleni (Il Mulino pagg. 302, euro 17), in aperto riferimento ad uno tra i periodi più bui e seducenti della Storia che tutti ci riguarda. Epoca di teorie oscurantiste, era di alchimie e ammennicoli e scienze occulte. Tra queste, persino… le venefiche; quelle, cioè, in riferimento ai vari veleni. Sostanze, al di là di quel che si possa supporre, ben lontane dal disegnarsi – esclusivamente – come arma segreta, atte ad assecondare nebulose manovre di Palazzo; oppure potere occulto di Dame nere…

Oltre l’immaginario, l’autrice – Beatrice Del Bo, professoressa di Storia economica e sociale del Medioevo all’Università Statale di Milano – racconta di un uso quotidiano delle materie tossiche dove, dall’arsenico alle piante, ai funghi carichi di alcaloidi, ai serpenti, il pericolo era solito strisciare ovunque, nascosto sotto le forme più disparate e pronto a rivelarsi, in ogni situazione.
Le botteghe, ad esempio, luogo per eccellenza degli speziali, ne erano ricolme. Frequentate da una clientela variegata e in buona parte danarosa, offrivano, su richiesta, leccornie al miele, come pure potenti espedienti per dare il là ad azioni turpi. E, in effetti, spesso i personaggi in questione non godevano di una buona fama. Al contempo, erano considerati tecnici esperti. Non a caso, a suo tempo, papa Alessandro Borgia, volendo intossicare in massa i membri dell’esercito francese accampato in quel di Ostia, si sarebbe rivolto proprio ad uno speziale.
E, benché la famiglia Borgia, in generale, abbia recitato la personale parte, non da meno fu Caterina Sforza, signora di Imola e di Forlì e madre di Giovanni dalle Bande Nere. Ebbene, la donna, a latere della politica e delle guerre, soprattutto negli anni dell’esilio fiorentino, ebbe modo di dedicarsi ai suoi Experimenti e alle ricette di bellezza, conservate nel suo A far bella. Temuta dai nemici e capace di presentarsi in battaglia con un falcione, Caterina era bella davvero. Eppure, gli intrugli di cui si serviva erano quantomeno tossici. Tra i componenti più comunemente adoperati: arsenico, allumi, l’argento vivo (leggasi mercurio), piombo, ruggine.

Per eliminare le macchie dal viso, del resto, non esisteva niente di meglio che mescolare Biacca e argento sublimato, “nel corpo di un colombo, a cui siano state tolte le interiora e ben cucito e, poi, cuocerlo in acqua“. Il risultato, applicarlo sul viso. Come dire: ‘belle da morire’. Non stupisce, dunque, stando ai presupposti, la leggenda della Strega di Biancaneve o il fatto che, nel momento in cui si analizzano le ossa di molti tra i nobili dell’epoca, risulti complicato stabilire se ci siano tracce di avvelenamento volontario. Sarebbero bastate anche solo le tinture per gli abiti e le contaminazioni dei cosmetici per marchiare – letteralmente – gli scheletri.
Ciò non di meno, a volte si faceva ‘sul serio’. E’ il caso – per dirne una – di Ambrogina Demiano. Siamo nel 1376, in quel di Milano e la donna spedisce l’amica, Fiorella da Molceno, a comprare una dose di arsenico, presso lo speziale Pietrolo di Canzio. Quest’ultimo, in effetti, qualche dubbio se lo pone ma tant’è; fa il suo. Peccato che la sostanza finisca direttamente nella pancia del marito di Ambrogina, insieme a una polentina di farro. Condannata in contumacia alla decapitazione, verrà infine graziata, grazie all’amnistia voluta da Gian Galeazzo Visconti, per festeggiare la sua nomina a Duca.

C’è anche dell’altro. Le leggende riguardo alla Mandragora, anche di machiavelliana memoria, o le dottrine e conoscenze, riguardo alla scienza officinale di allora, che tanto ha dato alla medicina moderna. Una corsa, composta di vasi, alambicchi, albarelli, pissidi e ampolle – nel Medioevo ogni sostanza voleva il suo apposito contenitore, pensato in base alla teoria galenica degli umori. Un modo per guardare agli anni in analisi con occhi differenti. Una maniera, per dare spiegazione anche a tutta una serie di detti di uso comune e di cui non conosciamo le origini… Volete un’idea? Una risata sardonica? Avviene, quando siamo strafatti di Sardonia, una pianta erbacea delle Ranuncolacee, che provoca la contrazione dei muscoli facciali (magari prima di ucciderci).
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