Thelma – 1906
Gli omicidi irrisolti, in genere, vengono archiviati e dimenticati. Posteggiati lì, tra i frammenti dei ricordi e riesumati, magari, di tanto in tanto, tesi a rinfarcire qualche conversazione che fatica a decollare, o a ricamare un parlare, altrimenti sterile. Diverso è per i casi – com’è che si chiamano oggi? Ah si, cold case – rimasti sospesi. Quelli lasciano un diffuso senso di malessere. Sapete? Come quando, a fine pasto, rimane in bocca un gusto amaro, che non vuol saperne di sparire.

Così fu, anche per me. Buffo, poiché venni paragonata, allora, ad una sorta di ‘bomba alla crema’. Deliziosa e conturbante biondina, che avrebbe dovuto lasciare il palato compiaciuto. E invece…
Thelma Todd, all’anagrafe. Classe 1906. Avevo lavorato, negli anni, per chi non fosse al corrente della mia carriera – già, perché non ero ‘solo’ carina, avevo una carriera, alle spalle – rispettivamente, con Laurel & Hardy, i fratelli Marx; prestato il volto, anche, in una serie di scatenate farse, al fianco della mia amica ZaSu Pitts. Mi prestavo, insomma, a far ridere. Chissà come l’avrebbe presa il pubblico, ai tempi, sapendo che il ruolo di chiusura, l’addio alle scene, lo avrei interpretato, nei panni di cadavere.

Bocca, abito da sera, pelliccia in visone, parimenti macchiati di sangue. Fui rinvenuta così, dalla mia cameriera, alle 10.30 della mattina del 16 dicembre 1935. Era un lunedì, se può interessarvi. Me ne stavo riversa lì, nel garage che dividevo con il mio amante: Roland West. Il regista, Roland West.
Avete presente la Pacific Highway, tra Santa Monica e Malibù? Ecco, il posto si trovava proprio là, alle Palisades. L’interruttore dell’accensione era aperto, il motore spento. Io, come vi accennavo, afflosciata sul sedile anteriore, alla stregua di un palloncino sgonfio. Ironia della sorte, una volta avevo recitato una scena affianco a Groucho Marx, in cui venivo redarguita: “E adesso fai la brava, se no ti chiudo nel garage!” Che dire: quando la realtà oltrepassa la fantasia!

Seguì un gran dibattere, per via dell’evento. Un gran vociare e pensare e scervellarsi, per comprendere cosa ‘esattamente‘ fosse accaduto. Dunque, il Gran Giurì emise la sentenza: ‘morte, dovuta ad avvelenamento da ossido di carbonio‘. Caspita, che geni!
Tuttavia, un verdetto d’ufficio era, se non altro, necessario. Già, ma le domande, al riguardo degli accadimenti, rimanevano tante e sospese. Se ero morta asfissiata – tanto per cominciare – come mai i miei abiti erano rimasti composti? E poi, chi o cosa mi aveva fatto sanguinare la faccia? In più, se me ne ero andata all’alba della domenica, come sostenuto dalla Polizia, da dove venivano tutti quei testimoni, convinti di avermi vista – viva – proprio la stessa mattina, attraversare di gran carriera l’incrocio tra Hollywood Boulevard e Vine Street? Faccio notare che, stando alle dichiarazioni dei più, non ero sola, nella Packard; bensì, accompagnata da un aitante sconosciuto dalle chiome brune.

L’altro uomo… laddove Io rappresentavo… l’altra donna.
Come vi dicevo ero, allora, l’amante di West e, insieme, dirigevamo il Thelma Todd Roadside Rest, popolare Cafè in riva la mare, poco lontano dalla scena del delitto.
Interrogato, l’uomo rivelò, seppur riluttante, di aver avuto, nelle prime ore della fatidica giornata, un’accesa lite con la sottoscritta. Io urlavo oscenità; mentre Lui prendeva a calci la massiccia porta d’ingresso. Facemmo così tanto baccano, da farci sentire persino dai vicini. Ebbene, durante l’inchiesta emerse anche… altro.

Ad esempio, il fatto che avessi chiesto in prestito una cospicua somma di denaro, mai restituita, per rimpinguare le casse del mio locale. Non solo. Venne fuori anche di una mia possibile relazione segreta con un tale, un uomo d’affari di San Francisco e la preoccupazione che mi caratterizzava, nel più recente periodo, proprio per l’incauta ed incresciosa situazione che si era venuta a creare. Corna! Come sempre, si soffre, da qualunque posizione si voglia analizzare la faccenda.

Il mio avvocato si adoperò, affinché fosse aperta una seconda inchiesta. A suo dire, ero stata fatta fuori, niente di meno che dai sicari di Lucky Luciano. Sapete, il famoso malvivente… In quel periodo, il gangster cercava di infiltrarsi nel giro delle case da gioco clandestine della California. Stando alle ipotesi, mi avrebbe avvicinata, proponendomi di installare, al piano superiore del Cafè, un Casinò. Uno di quei posti double-face, che servono ad incastrare i ‘polli’ giusti. Cacciagione, che avrei dovuto procurare Io, reclutandola tra le fila delle mie conoscenze chic. Gente rinomata… e con il portafogli gonfio.

Vi dicevo, l’avvocato era dell’idea che, declinando l’offerta, avessi firmato la mia condanna. A questo punto, per non andare incontro ad ulteriori fastidi, Hal Roach (il produttore, non so se lo conoscete…); insomma, Hal, al solo sentire pronunciare il nome di Luciano, si adoperò per convincere il procuratore a lasciar cadere la cosa. Sarebbe equivalso, d’altronde, a scoperchiare il Vaso di Pandora. Meglio ‘non disturbare il can che dorme‘, no?

Altra prerogativa, che ci si fosse trovati di fronte ad una scena del crimine costruita ad arte. West, in concorso con una complice, avrebbe, cioè, finto strilli e pedate, affinché tutti sentissero. Nel frattempo, Io venivo tramortita, trasportata in macchina e, una volta girata la chiavetta dell’accensione, lasciata a morire nel garage, con la porta accuratamente chiusa. Prove, al riguardo, non ne trovarono. Eppure, pare che l’uomo fosse stufo da tempo e non vedesse l’ora di scrivere la parola fine, a suggello della nostra relazione. Del resto, aveva diretto alcune tra le pellicole meglio riuscite, in fatto di gialli: Alibi, The Monster, The Bat Whispers… Sapeva, in sostanza, il fatto suo.
Tant’è! Da quel momento, smise di girare. Sposò, invece, Lola Lane e, nel 1952, se ne andò, a sua volta, dimenticato.
Io, al contrario, ero rimasta simpatica ai miei fan; perciò, al funerale, in quel di Forest Lawn, era presente una gran folla. Colleghi, ammiratori… assistettero al mio commiato. Giacevo adagiata in una bara aperta, rivestita di rose gialle, sapientemente ed accuratamente ‘composta’, per l’occasione. “Sembrava proprio che Thelma dovesse alzarsi a sedere da un momento all’altro e mettersi a parlare“, fu il commento che rilasciò ZaSu.

Invece, non avrei più parlato, né cantato, o recitato. Soprattutto, avrei chiuso il sipario della mia esistenza, lasciando tutti, curiosi e non, a bocca asciutta. Sopraffatti da un senso asprigno ad animare le papille, ricolme di una percezione destinata – ahimè – a mantenersi tale.
Irrisolta, indefinita, non ben interpretata. Esattamente come il caso che mi riguardava.
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