Sono Lillo: ‘il resto è fuori!’
In verità, nasce come spin-off. Per di più, ramificazione, che prende le mosse da un programma comico che si basa, banale a dirsi, su una gag. Una di quelle trovate, capaci di scatenare la risata, ma dalle quali, in fondo, non ci si aspetta nulla di più. E invece. E invece, la questione – o meglio, la Serie tv – funziona.
Così, Posaman trascende il suo ruolo e si trova, d’un tratto ed inaspettatamente, protagonista di una storia, a più riprese, che tiene. Promette – e, per citare un celebre pezzo arci noto – “poi, mantiene“.
Sono Lillo, questo il titolo, stando ai fatti, si presenta al suo pubblico, affezionato e non, in veste di idea originale. Espediente buffo ma ficcante, frutto di una scrittura sapiente – qualcuno potrebbe commentare – e con un’attenta costruzione delle dinamiche che intercorrono tra i personaggi. Senza andare troppo per le lunghe, è la storia di un tizio e della sua crisi di coppia. Questo, il testo.
Il sotto testo, invece – volendo leggerlo – si delinea come il risultato di un’opera corale, che trascina direttamente dietro le quinte dell’universo della comicità e lo fa con forza ed ironia e con quel misto di amore ed odio, che può partire solo da chi, l’argomento, lo conosce a fondo.
Dunque, spuntano fuori – per chi è in vena di approfondire – tutta una serie di riflessioni sull’identità, sulla separazione dell’arte dall’artista… C’è, insomma, tanto altro. Raggiunto il successo, in sintesi, Lillo – al secolo, Pasquale Petrolo – diventa schiavo del suo personaggio. Vorrebbe andare oltre, sganciarsi ma, a convincerlo nella decisione di voltare pagina, ci pensa sua moglie, Marzia, intenzionata, altrimenti, a lasciarlo.
Attorno, un intero ecosistema, più o meno dipendente dal suo status di comico famoso. Da Agenore (Paolo Calabresi), proprietario di uno Stand up Club a Sergio (Pietro Sermonti), il suo agente, alla famiglia, quella di Lui, quella di lei… Uno spaccato di realtà, quanto meno plausibile, che finisce per condizionare scelte e azioni del protagonista. Nel regno del surreale – lo ribadiamo – si fa filosofia, si riflette, anche se il tono rimane quello di sempre: leggero, scanzonato, buffo (lo abbiamo già detto).
Di fatto, una battuta: “So’ Lillo!“, ci dimostra come sia semplice far assumere dignità – di più, accenti di nobiltà – ad un girato, in cui – appare chiaro – regnano improvvisazione, intuizioni esilaranti, ma si completa, anche, di un agire certosino. Il luogo in cui professionalità, complicità, senso del ritmo vanno a braccetto con curiosità, intraprendenza, voglia di sperimentare.
C’è, pure, posto per i supereroi e quando, se non ora, che sono tornati tanto di moda? Il loro riscatto è il riscatto comune, perché nei loro confronti, al di là di tutto, si nutre affetto e rispetto. E poi c’è la tempistica, anch’essa fruibile nella sua evanescenza. Otto episodi, della durata di circa 30 minuti ciascuno – reperibili su Amazon Prime Video – godibili, divertenti… un tempo si sarebbe detto ‘un bel lavoro’.
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