Saga di una famiglia, vista con gli occhi di Muccino
A casa tutti bene. O meglio? A casa, tutti bene? Già, poiché il quadro che ci si presenta davanti, in soli dieci minuti di girato, della famiglia Ristuccia non ha nulla di rassicurante.
Ci troviamo, nel giro di un nonnulla, investiti da una serie di emozioni, implose, esplose… un po’ come salire sul Tagadà, inconsapevoli e spensierati, quando da piccoli ci recavamo alle giostre e invece, poi, ci ritrovavamo in qualche angolo a vomitare. Felici per l’esperienza, con gli occhi gonfi di adrenalina ma, allo stesso tempo, con lo stomaco talmente sconvolto, da impedirci di respirare.
Ecco, se vi sorge la voglia o anche il vago desiderio di immergervi nella seconda parte della serie firmata Muccino – in onda su Sky – sappiate a cosa esattamente state andando incontro. Già, perché, come il regista insegna, ci vuole schiettezza. proprio alla stregua di quando si decide di andare in analisi. Solo che qui tutto è ‘fuori’ e travolge, sin dal primo istante.
Partenza… con il botto, insomma, riprendendo le redini di una storia che, per un intero anno, ci ha lasciati sospesi, a bocca aperta, in attesa di conoscere le sorti dei suoi protagonisti. Del resto, chi ha visto la prima stagione lo sa, la sigla è già, di per sé, preambolo di qualcosa che si presagisce funesto, vago ricordo delle tragedie greche in cui il Coro aveva il compito di tenere le fila, dipanando a mano a mano il racconto e svelando, per conseguenza, la sorte dei vari eroi…
Nastro d’Argento in prima battuta, adesso Gabriele ci riprova, ancora più assetato di… errori, di cadute, di scelte avventate, di cambi improvvisi di programma. Gira in presa diretta, come al suo solito e ci tiene incollati allo schermo, nella cupidigia – ancora – di saperne di più; nell’idea – sconsiderata, la nostra – di poter anche solo intuire quel che accadrà. Un gioco coinvolgente, a ben guardare, dove non manca neppure la poesia; quella di chi, pur essendo nei giochi, pare tirarsi fuori, inconsapevole, ignaro di quel che gli accade tutt’attorno.
Piace, Muccino, come sempre e come sempre seduce, morbosamente, animatamente… ma questa, d’altronde, è la sua cifra. D’un tratto ci sentiamo tirati dentro e non sappiamo ancora se volendone uscire, oppure no. Siamo noi stessi la storia: le paure, le idiosincrasie… siamo famiglia, proprio come lo sono i Ristuccia. Siamo persi e, talvolta, ci ritroviamo, perché la speranza, almeno quella, davvero non può togliercela nessuno.
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