Maternità… quanta strada e quanto inerpicata

Maternità… quanta strada e quanto inerpicata

L’atto del parto può considerarsi, forse, il gesto più naturale del mondo. Qualcosa di primario, ancestrale, a cui tutti, per ovvi ed evidenti motivi, siamo sottomessi. Un’esperienza inappellabile, ‘senza tempo’; come altro definirla, del resto. Immutabile? Pure, ma solo per certi versi. Nel senso che ospedali perfettamente sterilizzati, medici e ostetriche qualificate, antidolorifici e interventi chirurgici rappresentano, in fin dei conti, una conquista dell’ultima ora. E se, ai giorni nostri, si discute molto del rapporto che intercorre tra i genitori e i propri pargoli, vero è che, un tempo, tutto quel che la maggior parte delle madri e dei padri poteva fare era accertarsi che i figli riuscissero a sopravvivere, oltre i cinque anni.

Vuoi le condizioni di vita, le condizioni igieniche generali, fatto sta, crescere non era un’impresa comune.



Durante il periodo medievale, in particolare, le madri erano responsabili della salute, della sicurezza e dell’istruzione delle rispettive creature, senza alcun sostegno esterno e, spesso, in concomitanza con un lavoro, unica risorsa per poter portare cibo in tavola.

Prima ancora, la scelta di far nascere un bambino o una bambina, rappresentava un rischio, sotto innumerevoli punti di vista, considerato l’altissimo tasso di mortalità.

Mille anni, più o meno, dalla fine del V secolo all’inizio del XV, in cui, naturalmente, le tradizioni e le pratiche relative alla maternità variarono – anche notevolmente – a seconda del periodo esatto, del luogo e della classe sociale di appartenenza. Tuttavia, la maggior parte delle donne partoriva in casa, con le immaginabili conseguenze da questo derivate. Elevata possibilità di infezioni, se non, addirittura, la morte.

Del resto, le conoscenze mediche erano ancora a livello embrionale. Le figure di riferimento erano scarse e rara l’eventualità che assistessero al parto. Le vicine e le ostetriche locali erano, dunque, coloro a cui chiedere, detentrici di un sapere che si tramandava, allora, di generazione in generazione.

Ciò nonostante, le bretoni ebbero una vita piuttosto dura. Sebbene membri fondamentali della comunità, non erano ben pagate e, talvolta, venivano persino additate come streghe. Perché? E’ presto detto. Si trattava, pure, delle persone a cui rivolgersi, qualora si fosse desiderato mettere fine anzitempo ad una gravidanza o, magari, acquistare una pozione, elisir per trovare l’amore.

Leggende, in parecchie circostanze, che ne alimentavano la fama, in positivo e in negativo e che ne facevano elementi rispettati e temuti della società. Esperte in fitoterapia ante litteram, potremmo definirle. Tant’è.

Diverso era in Francia – ad esempio – o nei Paesi Bassi, dove si riceveva una formazione formale e ci si considerava, in un secondo momento, ufficialmente impiegate dal Governo. Legittimate, pertanto e meglio stipendiate.

Va detto che amuleti e creduleria facevano bella mostra di sé. Alcune donne, per dirne una, indossavano la cintura da parto, un lungo rotolo di pergamena, costellato di testi religiosi e immagini di santi, da avvolgere attorno al ventre. La Vergine Maria, Santa Margherita e il duo – madre e figlio – Quirico e Giulitta erano, a tal proposito, tra i più gettonati.

Dicevamo, se uno tra i metodi più adoperati per favorire l’evento era l’induzione degli starnuti, un celebre testo dell’epoca, la Trotula, consigliava: “E si induca lo starnuto con il naso e la bocca ristretti, in modo che la maggior parte della sua forza e del suo spirito tenda verso il grembo“. Si credeva, parimenti, che l’utero fosse suscettibile a determinati odori. Il grembo – in sostanza – “segue le sostanze dall’odore soave e fugge quelle dall’odore disgustoso“. Pertanto, meglio che erbe e spezie come finocchio e menta circondino la madre, durante il travaglio.

Un altro suggerimento consisteva nell’ungere le parti inferiori e le cosce della partoriente con grasso di pollo e olio di camomilla, durante l’accadimento e nelle due o tre settimane precedenti, in modo da ‘lubrificare’ e facilitare la faccenda. Al momento di spingere, poi, si potevano assumere le posizioni ritenute più comode per ognuna, spesso agevolate dall’uso di uno sgabello da parto.

Le signore più agiate erano d’uso, inoltre, ritirarsi in una stanza apposita, nota come la camera del parto, fin dal mese prima che iniziasse il travaglio. Qui, riposavano e venivano costantemente e alacremente accudite.

Riguardo alle aspettative di vita, lo accennavamo in precedenza, è probabile che la maggior parte dei genitori abbia seppellito almeno un neonato. Incinte, in molte ed in maniera frequente, per produrre l’erede tanto atteso, specie se si apparteneva alle classi nobili. Successivamente, a pensarci sarebbe stata la balia, che avrebbe nutrito, coccolato, vezzeggiato il bimbo, una volta venuto alla luce.

Si credeva, infatti, che l’allattamento avesse un effetto contraccettivo ed era, dato quanto sopra, sconsigliato.

Le operaie, dal canto loro, avevano fretta di tornare al lavoro. Donne, messe ad arare i campi assieme ai figli più grandi, per mandare avanti la fattoria o l’eventuale azienda di famiglia.

Non solo. I bimbi erano sovente fasciati assai stretti, quasi come mummie, in modo da poter essere trasportati più agevolmente e, si racconta, anche per incoraggiarli a crescere dritti. Li si lasciava riposare ‘incastonati’ nelle ceste o nelle culle, alcune semplicemente rivestite di coperte; altre, le più elaborate, scolpite nel legno e dotate di dondolo. C’è chi accomodava il tutto vicino al fuoco e chi portava i piccoli appresso anche di notte, sotto le lenzuola, pur di mantenerli al caldo. Soluzioni azzardate, a rifletterci adesso ma, in passato, c’era poco altro da fare.

Si raccomandava, allo stesso tempo, che ai neonati fosse somministrato miele. Ignare delle possibili complicazioni dovute al botulismo, le mamme intendevano assicurare alla propria prole una prossemica d’eccezione. In linea con la genitorialità moderna, invece, mamme e papà sono da sempre stati spronati a rivolgersi ai propri piccoli articolando e ripetendo spesso le parole, così che questi ultimi imparassero presto a parlare.

Una volta pronti – abbastanza cresciuti da poter svolgere un mestiere – erano subito messi in azione. Non dimentichi, gli adulti, di donare loro qualche giocattolo: bambole, animali scolpiti, palline e persino castelli, con cui ricordarsi, almeno di tanto in tanto, di essere nella preadolescenza.

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