Himalaya spettrale…
Quelle sorprese che non vorresti mai trovare. Quel ‘qualcosa’ che percepisci ma, in cuor tuo, preghi di sbagliare… Così è l’Everest. Punto d’approdo per i più coraggiosi; culla eterna, per chi non ce la fa. Corpi dimenticati, da recuperare. Cadaveri di scalatori, per lo più, che riemergono dagli strati di ghiaccio, a poco a poco. Colpa del cambiamento climatico. Le temperature elevate, difatti, sciogliendo la neve, portano a galla la verità.
In breve, la squadra addetta al recupero è costretta a salire fino a 8.849 metri. A rischio della propria vita.
Finora, sono state ritrovate 5 persone – uno già ridotto in forma scheletrica – in attesa oppure identificati e trasportati a Kathmandu. Presso la Capitale nepalese, quelli a cui non sarà possibile fornire un’identità saranno, con tutta probabilità, cremati. Una campagna macabra – vero – ma necessaria: “A causa degli effetti del riscaldamento globale, i corpi e i rifiuti diventano sempre più visibili, mano che la copertura nevosa diminuisce“.
Oltre 300 individui sono morti sulla vetta, da quando le spedizioni sono iniziate, negli anni Venti; tra cui otto, solo nell’ultima stagione. Rimangono – pertanto – ancora molti corpi, alcuni nascosti dalla neve o finiti in profondi crepacci. Altri, con indosso ancora la loro attrezzatura da scalata colorata, sono diventati punti di riferimento sulla strada per la vetta. Si sono vestiti persino di speciali soprannomi: Stivali verdi, Bella addormentata…
“Le persone credono di entrare in un territorio divino, quando scalano le montagne, ma se vedono cadaveri lungo il percorso, questo può avere un effetto negativo“. Conta, insomma, l’effetto psicologico.
Fatto sta, in quella che viene anche chiamata Zona della morte, poiché i bassi livelli di ossigeno aumentano il rischio di ‘mal di montagna acuto’, che può essere, in certi casi, fatale regna il silenzio. Un silenzio, colmo di tutti i suoi significati.
Ci sono volute 11 ore per liberare uno dei corpi – raccontano gli esperti – immerso nel ghiaccio fino al busto. Per estrarlo con un’ascia e stata usata acqua calda. “È estremamente difficile“, spiega chi ne sa. “Tirare fuori il corpo è una cosa, tirarlo giù e un’altra“. Alcuni sono come ibernati. Ancora intatti, con tanto di equipaggiamento al seguito, ramponi e imbragature. Uno, ha perso solo un guanto.
Recupero, che resta argomento controverso nella comunità alpinistica. L’impresa prevede un enorme dispendio di denaro ed energie: richiede fino a otto soccorritori, per ogni corpo. Ad alta quota è difficile trasportare carichi pesanti e un cadavere riesce a superare i 100 chili. In alcune situazioni, poi, il grado di congelamento è così elevato da rendere anche la più piccola manovra estremamente scomoda. Tuttavia, si tratta di uno sforzo necessario per non trasformare la location in uno scenario ‘da brividi’.
Tuttavia, l’Himalaya nasconde ancora molti segreti. Mentre – ad esempio – il corpo di George Mallory, alpinista britannico scomparso nel 1924, è stato finalmente riportato a casa, nel 1999; quello del suo compagno di cordata, Andrew Irvine, non è mai stato individuato. Nemmeno la loro macchina fotografica, che potrebbe potenzialmente riscrivere la storia dell’alpinismo.
La campagna di pulizia, nel suo complesso, forte di un budget di oltre 600.000 dollari, ha mobilitato 171 guide e portatori nepalesi, per ripulire il territorio da oltre 11 tonnellate di rifiuti. Tende fluorescenti, attrezzatura da scalata dismessa, bombole di gas vuote e persino escrementi umani, disseminati lungo il percorso.
Scevro dal manto eroico della gloria, anche questo percorso si definisce – dunque – per ciò che è: insidioso, pericoloso, ingannevole, fallace… ed è per questo, forse, che ancora attira tanta tanta gente…
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