L’Italia sconfitta… dall’Italietta
Vi ricordate La terra dei cachi eseguita a Sanremo, nel 1996, da Elio e le Storie tese?
Ecco, ieri sera, anzi, ieri, nel tardo pomeriggio, per esser precisi, è finta esattamente così, seguendo il medesimo ordine. Tutti puntuali e in attesa davanti allo schermo, alle 18.00, scaramanticamente sintonizzati sulla Rai oppure su Sky, a seconda delle preferenze e speranzosi di vedere qualcosa a cui, ancora, non avevamo assistito.
Una squadra, volendo sintetizzare. 11 giocatori, in campo, che non si sintetizzassero unicamente – o quasi – nella figura del portiere. Donnarumma, ancora in questa occasione da 9 – a detta di tutti, sia ben chiaro – ma, da solo, non basta. Non è bastato a risollevare, cioè, le sorti di un team, che di team presentava ben poco. Esitanti, spersi e dispersivi, a parte i primissimi minuti di gioco. Sopraffatti da un avversario onesto e temibile, poiché siamo noi ad averlo reso tale (con tutto il rispetto per la Svizzera, va da sé, che ha giocato – lei sì – la sua partita con dignità e fiducia… e ha vinto).
Insomma, alle 18.00, dicevamo, era ‘Italia sì‘. I pensieri, certo, scorrevano alle vicende appena trascorse. Nei precedenti incontri non avevamo brillato. Neppure, a ben guardare, con l’Albania ma tant’è. Il turno lo avevamo passato e adesso c’era voglia e necessità di risollevare la testa e sintonizzarci in avanti. Disegnarci, insomma, un futuro migliore: propositivo, brillante, efficace. Questo, ripetiamo, alle ore 18.00.
Con il trascorrere dei minuti abbiamo, tuttavia, dovuto fare i conti con le esitazioni, i dubbi, le incertezze di calciatori, evidentemente impreparati. Incapaci di tenere palla. Incespicanti e sopraffatti da altri giocatori, loro sì, determinati, dritti, vincenti.
Dunque, a fare i conti ci rimangono addosso 90 e qualche manciata di altri minuti di sofferenza. Attimi, in cui avremmo potuto inventare un gioco. In cui avremmo dovuto portarci avanti, improvvisare – semmai – rischiare… e invece no. In aderenza ad un modulo che continuava a cambiare di volta in volta, di azione in azione, nel tentativo, almeno da parte di Spalletti, di portarla a casa, si è generata solo un’enorme confusione e 2 goal – dato certo – da parte dei nostri interlocutori, il secondo dei quali ingiustificabile.
Era appena iniziato il secondo tempo, qualche attimo e tenevamo noi la palla… ma vabbè… Riassunto, non erano ancora le 20.00 e già il motivetto era cambiato: “Italia no…“. Siamo arrivati a questo punto del racconto. Quello in cui va bene perdere ma, almeno, facciamolo come si deve. Facciamogliela sudare, la vittoria, a questi Svizzeri. Facciamo vedere, se non altro, di che pasta siamo fatti. Volendo citare qualche commentatore: “gettiamo il cuore oltre l’ostacolo“. E, invece, ancora, la risposta rimane ‘no’. A parte il nostro granitico portiere, ragazzo sconsolato anche lui, a fronte di una debacle senza pari.
Sia ben chiaro, non è l’essere usciti dall’Europeo. Non è l’aver perso. Ciò che suscita amarezza, quel che deprime è il modo, del tutto rinunciatario o quasi, con cui abbiamo abbandonato il campo. Descrizione di una macchina che incespica, che arranca. Soprattutto, che non ci crede abbastanza.
‘Forse mancano gli uomini‘, ‘azzarda qualcuno. ‘Forse Spalletti non ha avuto il tempo, papà ‘putativo’, giunto in corsa a sostituire Maldini‘. ‘Forse il buon allenatore‘ – ciò resta innegabile – ‘non possiede, tuttavia, la stoffa del Ct‘. Quando il sipario si chiude è tempo di congetture. Ci si erge a giudici – e quanto ci piace, specie se le cose vanno male – e si sentenzia su quel che si è o non si è fatto; su quel che si sarebbe dovuto fare… ovvio, no? Si diventa tutti, ma proprio tutti, esperti di faccende che, solitamente, poco o nulla ci riguardano.
Via con i meme, allora. Largo, pure, alle invettive… L’importante è trovare un colpevole. Per gli insegnamenti ci sarà tempo. Cosa serve, d’altronde, imparare da qualcosa che domattina – ahinoi – si ridurrà all’inutile?
La Croazia, giorni addietro, ci aveva concesso, al di là del pareggio vissuto, peraltro, manco si trattasse di una vittoria, una seconda possibilità. Ieri, la Svizzera si è ripresa tutto. Non ci ha fatto sconti e, del resto, perché avrebbe dovuto?
Facciamo le valigie, dunque, mesti mesti e con la coda tra le gambe e ce ne torniamo a casa, a riflettere, se tutto va bene. Prima, prima ancora di cospargerci il capo di cenere ed innescare il mea culpa, però, osserviamo quel che segue… Germania/Danimarca è – o meglio, è stata – ier sera, una partita. Una di quelle epiche battaglie – interminabile, oltretutto, per via del tempo impietoso – in cui tutto può accadere. In cui gli eroi diventano antieroi e viceversa. Andersen, per dirne una, da uomo goal si è drammaticamente trasformato nel fautore di un rigore, anche questo impietoso.
Complice, l’intervento di una Var, che funziona non con il metro ma con il centimetro; che agisce contando i millesimi di gomiti troppo esposti, braccia che sfiorano, sia pur inavvertitamente, il pallone. Misura le punte, magari, di un piede poco più avanti di quanto concesso.
‘Il calcio è un’altra cosa‘, volendo citare chi ne sa… Intanto, cantiamo, con il talento che, almeno in tal senso, ci appartiene. Come è che continuava la canzone? Ah sì: “…ma se c’è la partita, il commando non ci sta e allo stadio se ne va. Sventolando il bandierone, non più sangue scorrerà…“
Tra una chiacchiera e l’altra, come dire, s’è fatta una certa… E’ ora di cena, per chi non abbia già mangiato. Tempo di mettersi a tavola. La pasta è scolata, il sugo girato… “…se famo du’ spaghi“, insomma. Poi, domani, si vedrà, che in fondo questa è e rimane la Terra dei cachi.
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