Wardrobing: assai di più che un usa e getta

Wardrobing: assai di più che un usa e getta

Chi di noi, specie in virtù di un’occasione speciale non ha espresso, almeno tra sé e sé, il desiderio di poter indossare qualcosa di ‘diverso’. Un capo altrettanto fuori dalla propria portata e che facesse sentire unici, adatto – magari – a quella sola circostanza; ma tant’è.

Ebbene – udite udite – la notizia è che il fenomeno esiste. Vale a dire, l’attitudine ad acquistare online, utilizzare per, poi, restituire, ottenendo persino il rimborso. E fin qui…

Fatto è che il Trend non è del tutto etico e che, negli ultimi tempi, ha raggiunto livelli di diffusione tali da costringere diversi e-commerce a prendere le dovute contromisure.

SPIEGHIAMO DI COSA SI TRATTA

Il nome, per tutti, è Wardrobing, figlio più o meno volontario del commercio dell’abbigliamento on-line.

Un paio di occhiali da lettura che possono guardare lontano e vicino, Smart ZoomNé c’è da stupirsi – dunque – se la maggioranza dei consumatori, per essere pienamente sicuro della propria scelta, senta l’esigenza di provare gli articoli d’interesse, prima ancora di acquistarli definitivamente. Ciò premesso, è quasi inevitabile dover prendere atto della possibilità che alcuni articoli tornino al mittente e, tal proposito, svariate statistiche di mercato attestano che ciò che attiene al vestiario, in tal senso, occupa i posti più alti della classifica.

Esigenza, d’altronde, come accennavamo, pressoché inevitabile e di cui i venditori sono evidentemente consapevoli. Per questo, si attrezzano, in modo tale da gestire volumi di reso certamente superiori rispetto a quelli che riguardano altri settori. Fatto che comporta, manco a dirlo, maggiori costi.

Riassumendo: per il consumatore, effettuare un reso risulta semplice e, spesso, gratuito. Dall’altra parte della barricata ci sono, però, i negozianti che, sebbene nella volontà di assicurare condizioni agevoli per i propri clienti, si espongono inevitabilmente a chi, privo di scrupoli, è pronto ad approfittare della situazione. Sono molte le ditte che, al riguardo, hanno rilevato una serie di incrementi anomali dei volumi di reso, o – comunque – comportamenti sospetti da parte di alcuni acquirenti, anche in relazione al tipo di articoli richiesti.

UN DECREMENTO PER TUTTI

Risultato: ne risente il business, in linea generale. Ne risente anche l’ambiente, per via delle inutili movimentazioni di merce.

Ancor più complicato, mettersi al riparo.

C’è chi ha scelto di attuare campagne di sensibilizzazione, nel tentativo di dissuadere da idee preventivamente antipatiche. Diesel, ad esempio, presentò a suo tempo la nuova collezione, tramite uno spot in cui i giovani protagonisti indossavano capi, con l’etichetta ancora apposta. Lo slogan era inequivocabile: “Enjoy before returning”, ovvero “Godetevi il capo, prima di restituirlo!”, ma ci si rende facilmente conto che non basta una comunicazione pubblicitaria, seppur ben eseguita, per interrompere o riparare ad una tendenza che, per evidenti ragioni, sta prendendo sempre più piede.

Ecco, allora, che si ricorre a manovre più concrete. Si appongono vistose etichette in punti strategici, affinché risulti problematico indossare l’indumento e c’è anche chi, al posto del blocco cartaceo, ha pensato di ricorrere a vere e proprie mollette rigide, che vanno staccate con una procedura scrupolosa e che, soprattutto, non possono in nessun modo essere riattaccate.

Ancora: c’è chi si è concentrato sulla ‘politica del reso‘, escludendo la possibilità di compierlo a costo zero, per determinati capi; oppure, prevedendo i costi a carico del consumatore, per ogni restituzione.

Non mancano, infine, neppure coloro che hanno scelto di far ricorso al mondo del Data Analysis per operare scelte mirate, rigide ma che non vadano a penalizzare i consumatori onesti. Grazie all’elaborazione di apposite statistiche e alla rilevazione di casi poco chiari, la facoltà di effettuare resi gratuiti viene preclusa, del tutto.

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