Wafer: storia ed evoluzione di un biscotto ‘paritario’

Wafer: storia ed evoluzione di un biscotto ‘paritario’

Quando lo mordi la cialda è friabile. Il contatto delle labbra è leggero, anzi, leggerissimo. Tanto basta, per spezzarne l’andamento che si divide – scuola detta – con gli strati di crema (alla nocciola, nella versione più comune, al cioccolato fondente, alla vaniglia…) e con essa si alterna. Un chiasmo di contrasti, a cui ci si prepara, prima ancora di assaggiare.

Opposti delle consistenze, che caratterizza, da sempre, la storia dei Wafer – già, che è di questo che stiamo parlando. Di un biscotto – cioè – non biscotto, dal piacere un po’ familiare e un po’ proibito, a seconda delle esigenze, degli stati d’animo, delle occasioni. Croccantezza, che fa da contraltare alla pastosità e viceversa, pronte entrambe a scivolare sulla lingua per avvilupparla ed avvolgerla, rilasciando un godimento unico, per via proprio delle differenti texture.

Wafer, come sfida, pure, all’orologio, che non si fregia di orari specifici per essere gustato. Merenda innocente o spuntino-ricarica, si sventola alla stregua di un vessillo del buon umore, accontentando chiunque.

Un peccato… veniale, che non si contempera di sensi di colpa poi, nel dopo, quando vengono su tutti ‘gli altarini’. La perfetta quadratura di un assemblaggio che di casuale ha… nulla e che, di converso, risponde ad un enorme coefficiente di goduria.

UN PO’ DI STORIA…

Piacevolezza, che trova le sue origini in un punto impreciso del XV secolo, non si sa bene dove, né perché, mix indistinguibile di ispirazioni e prestiti. Un tentativo di ricostruzione è stato fatto, a partire dal significato del nome, apparentemente derivato dal germanico waba, alveare, per la particolare struttura della superficie che, schiacciata tra ferri roventi, si reticolava di esagoni, simili ai favi del miele. Evoluzione ispirata – in una seconda lettura – alle gaufres belghe, o al waffle tedesco che, in dimensioni evidentemente più grandi, sarebbero poi diventate la base rigida dei coni gelato.

DAI CIALDONAI A JOSEF MANNER

Come siano effettivamente andate le cose, insomma, non è chiaro. Stabilito, invece, che intorno al Quattrocento iniziarono a diffondersi, tra Francia e Inghilterra, particolari cialde dolci e scrocchiarelle, frutto di una cottura ad alta temperatura dentro stampi a tenaglia (da qui, i motivi geometrici sulle superfici). Le creavano… i cialdonai e la loro facilità nel mantenersi, oltre che la naturale bontà, fece sì che si diffondessero in tutta Europa. Qui da noi giunsero intorno al Cinquecento, presso la regale Corte di Lorenzo il Magnifico. Tuttavia, il segreto che li avrebbe trasformati in valore inimitabile sarebbe approdato ‘solo’ molto più tardi, intuizione dell’austriaco Josef Manner.

Erano trascorsi, nel frattempo, quasi quattro secoli.

Viennese doc, a 25 anni ‘l’esimo’ mise su una piccola impresa dolciaria, la Fabbrica di cioccolato che portava la sua firma, inseguendo la democrazia del cioccolato. All’epoca – va ricordato – si trattava di un bene di lusso: un chilo di prodotto valeva due giorni di paga di un operaio. Manner, che caparbiamente voleva che chiunque avesse la possibilità di assaggiarlo, nel 1895 aveva sperimentato una creazione inedita: minuscole sfoglie croccanti, cinque in tutto, tenute insieme da strati di crema, alle nocciole e cioccolato. Accessibili, appunto, per tutti.

Il NEAPOLITAN WAFER INNOMORA LE ALPI

Il nome iniziale Manner-Schnitten, letteralmente le “fette Manner”, fece da fondamenta al successo strepitoso dei successivi Neapolitan Wafer, ribattezzati per spirito democratico, in onore delle nocciole utilizzate per la farcitura, coltivate tra le colline della Campania. La fama, enorme sin da subito, crebbe a dismisura, anche grazie al lavoro incessante di un piccolo laboratorio artigianale al di qua dalle Alpi, a Bolzano, di proprietà di Alfons Loacker.

Nel secondo dopoguerra, fu proprio quest’ultimo a guidare la messa a punto della produzione su larga scala; mentre il figlio – Armin – la rese industriale, con esportazioni in tutto il mondo e un posto nel cuore di ogni palato che si rispetti. In grado, vale a dire, di apprezzarne l’essenza gentilmente lussuriosa, facile, autentica e con la qualità di svanire sul palato. Un battito rapido di felicità, fuggevole, alla guisa della prima…

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