Diamanti… come non ne esistono più
Un’opera, ‘baciata dalla grazia‘. Almeno secondo chi ama le dinamiche del melò, per chi prova nostalgia per l’epoca del feuilleton e del fotoromanzo. Per quanti non sanno e non vogliono fare a meno di storie declinate interamente al femminile, in cui le donne rappresentano, a tutti gli effetti, il fulcro itinerante del racconto.
Stando, pure, ai proseliti – che non sono pochi – dei film, che portano la firma e il suggello di Ferzan Ozpetek, che in Diamanti mette tutto, ma proprio tutto se stesso. Tant’è, che ne ritroviamo la presenza sullo schermo, direttamente in prima persona. Volontà di protagonismo? Forse, ma sembra più volerci comunicare, il regista, che quel che ci racconta è davvero, in tutto e per tutto, farina del suo sacco. Delle sue esperienze di bambino, dei ricordi che conserva, adesso, da adulto.
Ricordi, dicevamo, che si esplicano in un universo targato Lei. 18 volte, Lei. Anzi, 18 volti – sarebbe meglio dire – a cominciare dalle due protagoniste. Le due sorelle Canova, proprietarie di una sartoria che lavora per il Cinema. Due profili opposti: la prima determinata, cinica, votata agli affari e alla carriera. L’altra fragile, a tratti assente, sperduta tra i personali pensieri ma altrettanto abile nello svolgere il proprio mestiere. Luisa Ranieri e Jasmine Trinca, per l’occasione, sapientemente istruite, perfette interpreti di ruoli che, apparentemente paralleli, sono tuttavia destinati ad incontrarsi. Sorelle, qui è la chiave, come il filo che tesse i legami e che, al di là di tutto, per quanto la matassa tenda a disperdersi, tiene il bandolo legato.
Poi, ci sono loro. Il coro di lavoranti: le operaie. Anna Ferzetti, Geppy Cucciari, Paola Minaccioni, Lunetta Savino, Nicole Grimaudo… sono tante, davvero tante e tutte brave. Brave, nel senso che se ne coglie inevitabilmente il talento, ognuna catturata e devota alla sua parte. Impressa nei panni del personaggio che interpreta. Una, vessata dal marito; una, lasciata sola a crescere un figlio; una, scientemente libera e votata all’ironia; l’altra ancora, coinvolta nella liaison con un un uomo più giovane… Ognuna, incisa nel racconto di se stessa alla stregua di un piccolo quadro, istantanea di un mondo che è insieme vicino e lontano da oggi. Passato, che fa da tappeto al presente.
Proseguendo, ci sono le espressioni di chi gira attorno. Attrici e star del teatro – nemiche/amiche. C’è la buona e salda Giovanna, la cuoca, che a tutti bada e a tutti pensa… e c’è spazio persino per gli uomini. Corpi, loro in parte sì, giovani, smaglianti, forti… oppure tagliati, macchiettistici ritratti, a loro volta, dell’Italia di allora: il marito manesco, quello affettuoso; l’indifferente, l’ex, il regista insoddisfatto… fumettistiche rievocazioni. Figurine, come quelle che, da piccoli, eravamo intenti scambiarci, quando facevamo collezione di album.
Già, album… è così, a guardar bene, che si presenta la cronaca di questo viaggio a ritroso. Come un album costellato di immagini sapienti, preziose, bellissime – le ambientazioni, gli abiti… meravigliosi – e quel fare indefesso, instancabile. Un po’ come le api o, meglio, le formiche che, come fa dire lo stesso cineasta, “da sole non siamo niente, ma insieme…‘. Insieme, producono e producono in maniera tale, da rispondere e contravvenire anche alle richieste più esigenti, alla volontà creativa e per questo inevitabilmente in perseverante fermento di un premio Oscar. Altra donna – Vanessa Scalera – illuminata ma eternamente insoddisfatta. In continua competizione, prima che con altri, con se stessa.
Fotografia di uno che, noi altra metà della mela, ci conosce bene e ci ama. Niente affatto spaventato dall’alternarsi di quel piano volubile che ci percorre e ci attraversa. Né preoccupato dai picchi, fin troppo accesi – in taluni casi – o troppo oscuri, di un’umoralità che ci vuole mai uguali a noi stesse.
Siamo la vita, in fondo e questo Ferzan lo sa, perché siamo parte – dichiaratamente – della sua sua vita e perciò lui ci accarezza, ci vuole bene, ci perdona, persino, per le nostre debolezze che ci rendono esattamente quel che siamo. Anima e carne sensibile.
Ecco, chi volesse immergersi in questo genere di atmosfere non dovrebbe, in questi giorni, lesinare neppure un secondo e, invece, correre ad acquistare i biglietti. Si esce dalla sala, rendendosi conto, tangibilmente, di essere stati al Cinema. Di aver speso più o meno due ore della nostra esistenza, in egual misura di come si faceva una volta. Si rientra a casa pieni, dopo aver riascoltato tanta Mina, un po’di Patty Pravo, l’immancabile Giorgia (ulteriore sotto testo che finisce con la A) e salutato, complici e compagni involontari di questo percorso, nell’ordine, Mariangela Melato, Virna Lisi, Monica Vitti, a cui la pellicola, in ultimo, è dedicata.
LEGGI ANCHE: Al Cinema c’è da vedere…
CINEMA, CINEMA, CINEMA…