La provocazione ‘vincente’ di Angelo Duro…
Ah però, quel Gennaro Nunziante! Sembra proprio che quel che tocchi si trasformi in oro o, se non è così, poco ci manca. Sceneggiatore, ma anche regista – firma dei film, soprattutto, di Checco Zalone, ma c’è anche Rovazzi, Pio e Amedeo… – persino attore, che non si sa mai… e montatore. Personaggio a tutto tondo, insomma, che pare baciato dalla fortuna – anche se tutto ci conduce a pensare che sia talento, in effetti – e che, di recente, ha messo a tiro un ennesimo colpo. Trattasi di Io sono la fine del mondo di Angelo Duro, già inviato per le Iene e attore, a sua volta, in una pellicola – Tiramisù – firmata da Fabio De Luigi.
La trama? Una storia come tante. Siamo nella Capitale, dove un autista di NCC, specializzato nel portare a casa adolescenti ubriachi, viene contattato, improvvisamente, dalla sorella che vive a Palermo, che gli chiede di occuparsi dei loro genitori anziani, mentre lei andrà in vacanza.
Fin qui, suggestionabili o meno dalla comicità irriverente e poco politically correct, definibile anche scorretta, cinica… ecc. ecc. ecc… Dicevamo, fin qui, nulla di strano. Se non fosse che il girato – trasmesso in contemporanea e praticamente nelle sale subitanee a quelle in cui veniva visionato Diamanti di Ferzan Ozpetek, alla stessa ora e con un pubblico, più o meno, assemblabile, nel giro di un solo giorno di programmazione, ha – praticamente – sbaragliato il botteghino. Balzato, nell’immediato, in testa agli incassi, senza neppure che, in precedenza, siano state rilasciate interviste o effettuata alcun tipo di promozione.
Che sia stato lo zoccolo duro dei fan, sceso a sostenere il controverso idolo? Probabile, almeno in parte. Del resto, a rendere famoso il nostro hanno contribuito anche la passerella di Sanremo (2023) e, insieme, i tour teatrali (quello riferibile al prossimo febbraio: Ho tre belle notizie, è già esaurito).
Trascorsi due giorni, i guadagni si attestavano sui 577 mila euro totali; film, ancora primo e una frase, che suona come una giustifica ma, più che altro, vuole essere un pungente motto: “Scusa Palermo, se non ho fatto un film di mafia“. Che ci sia qualche riferimento?
Il punto è che – cronaca racconta – sin dai titoli di testa partono le risate, credito di simpatia guadagnata, evidentemente, a cominciare dal divano di casa. Merito, al contempo, di un arco narrativo edificato appositamente, perché il protagonista appaia, dai fotogrammi iniziali, senza pietà. Intenzionato a rivalersi su mamma e papà, per porre rimedio – e vendetta – alle angherie subite da bambino.
Duro – in breve – si accaparra il vessillo di anti-Zalone: tanto mobile il secondo, quanto pietrificato il primo. La cifra stilistica è la mono-espressione: mai incrociare lo sguardo con l’interlocutore; disprezzo generalizzato per il prossimo, dal disabile a cui sottrae il posto auto nella prima scena, al figlio sovrappeso della dottoressa con cui flirta. Il tutto, messo in atto senza ripensamenti. Così, toglie il vino al padre che gli vietava la Coca-Cola; abbandona i suoi al cimitero come loro lo parcheggiavano dai nonni; gli paventa l’idea dell’ospizio, perché lo avevano messo sei mesi in collegio; rovina loro un viaggio, giacché – a suo tempo – non lo mandavano alle gite e così via.
Una parabola di crudeltà, che scatena emozioni differenti. Le risate, talvolta, finiscono per assumere il sapore di fastidio. Che sia “troppo“? o, magari, bisogna avere la capacità di saper leggere – codificare – il sottotesto. Ripresa dopo ripresa – questo è certo – cresce lo sgomento e fa la sua comparsa, addirittura, un pizzico di tristezza’, constatazione inequivocabile di un disagio ‘generazionale’.
Nunziante ha sempre sostenuto di non amare la commedia all’italiana: “Risi e Monicelli esaltavano il negativo, perché l’uomo negativo ne prendesse coscienza“. Tuttavia, “è stato un fallimento, perché nel pubblico non c’erano le strutture culturali per interpretare questo conflitto. Non si capiva la presa in giro di quei personaggi, che sono diventati modelli.” Eppure…
L’empatia che guida lo spettatore verso le figure dei genitori è, allora, voluta?
Poi, terminati i titoli di coda, è ancora una volta Duro a lasciare spiazzati, laddove si pensava di aver visto – e udito – di tutto. “Vi ho traumatizzati? Ottimo, così domani lo psicologo avrà di che lavorare!“. E poi: “Basta. Questo è il mio primo e ultimo film. Sono, ad oggi, il primo in classifica negli incassi. Sto già pensando a che appartamento acquistare“. Attaccamento al personaggio o reale stupore, a fronte di un fenomeno non preventivato? “Assurdo quel che sta succedendo. Non ho fatto promozione, non mi invitano in tv, non mi invitano da nessuna parte. Non mi vogliono. E ora, invece, sono primo in classifica e se la sono presa in…“.
A chi gli chiede l’ispirazione per la storia: “Non so rispondere a domande serie“, risponde provocatorio e aggiunge: “Non so, ragazzi, ho fatto un film. Questo film non è la vita vera. La vita vera sta fuori“.
Live post spettacolo, più potente dell’ora e trentasei minuti che l’ha preceduto. Certe apocalissi, d’altronde, vengono meglio se evocate; anziché visualizzate e se l’obiettivo era di risultare divisivi, allora sì, traguardo raggiunto. “Mi piaceva prima. Ora che l’ho incontrato non mi piace più“, commenta qualcuno, accomiatandosi dalla sala. Per qualcun altro, “è un film irresistibile. Ci è piaciuto moltissimo!“.
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