Ristrutturiamo? Ma questa è la Casa Bianca…
L’edificio – forse – più rinomato degli Stati Uniti – che di questo stiamo parlando – e che, tuttavia, ha subito, nel corso degli anni e dei secoli, una sorta di evoluzione. Ambienti, che sono andati via via modellandosi, a partire dall’epoca in cui furono progettati. Un imponente esempio di stile neoclassico, opera dell’ingegno e dell’applicazione dell’architetto irlandese James Hoban, che si estende su una superficie di circa 55.000 metri quadrati, senza contare le ali est ed ovest.
All’esterno, inconfondibile per chiunque, la storia di innumerevoli e continui cambiamenti, plasmata dai gusti e dalle visioni dei Presidenti che si sono avvicendati tra le sale e i saloni che caratterizzano il palazzo.
Scelte di arredamento che, sovente, stanno a sottolineare un preciso messaggio politico, incarnando quello che viene comunemente inquadrato come soft power.
Premesso: leggenda vuole – e non solo – che i Signori della Casa e le rispettive First Lady possano apportare cambiamenti liberi agli interni, spendendo senza limiti di denaro, per soddisfare i propri bisogni. Vero è, ribatte chi è più addentro nella situazione, che: “Il Governo fornisce… una somma limitata, per arredare le stanze private della Residenza, in base alle esigenze della famiglia“. Tuttavia, “…la maggior parte dei Presidenti moderni ha rifiutato l’offerta, scegliendo di portare i propri mobili o attingendo alla collezione storica della Casa Bianca“. Per quanto riguarda le sale di Stato e le stanze storiche, invece, seguono – queste ultime – rigorosi standard museali, mantenuti dal 1961, grazie alla fondazione della White House Historical Associaton.
Il Congresso statunitense, attraverso il Residence Act firmato nel 1790, designò Washington D.C. come capitale e affidò a Pierre Charles L’Enfant l’individuazione del sito, in cui pianificare quelle che sarebbero di lì a poco divenute le abitazioni presidenziali. Nel 1792, pertanto, venne lanciato un concorso per il progetto, vinto da James Hoban. Per la costruzione, iniziata in data 13 ottobre, vennero impiegati, in tutto, otto anni, forti, architetto & co. – soprattutto – del contributo degli schiavi, per l’estrazione della pietra, come pure per la posa del tetto.
In seguito, poi, all’incendio appiccato dalle truppe britanniche nel 1814, la costruzione necessitò di ampi lavori di restauro. Prime tappe, che hanno segnato l’inizio di un lungo percorso di trasfigurazione, assecondato dalla personalità dei diversi Capi di Stato.
Nel 1800, John e Abigail Adams furono i primi a varcare la soglia della celebre dimora, ancora parzialmente incompiuta. La veloce trasformazione concesse – non di meno – a i due la possibilità di allestire un ricevimento, in occasione del Capodanno 1801. Il Ladies’ Drawing Room fu allestito con mobili spediti da Filadelfia, tra cui sedie in mogano, divani, tavoli da gioco e un prezioso lampadario. Oggetti, purtroppo, andati distrutti nell’incendio, già menzionato, del 1814.
Tra le innovazioni introdotte da Jefferson, una cantina per i vini e lampade a olio e financo due cuccioli di orso Grizzly, dono dell’esploratore Zebulon Pike. L’ingresso, allora, era decorato con trofei simbolici dell’espansione americana: corna, pelli e scheletri di animali.
Durante la presidenza di James Madison, la moglie di Lui, Dolley, decise di affidare nelle mani dell’architetto Benjamin H. Latrobe il compito di decorare il piano di rappresentanza, noto come State Floor e di realizzare mobili su misura, per lo Studio Ovale. Durante l’attacco delle truppe britanniche, la donna ordinò di portare in salvo il famoso ritratto di George Washington di Gilbert Stuart. Gesto, assurto addirittura a simbolo patriottico.
Il Presidente Jackson, noto per il carattere severo e apparentemente integerrimo, sorprese molti ordinando arredi lussuosi e – badate bene – un arco di trionfo, adibito all’ingresso della East Room, corredato con tanto di stelle dorate. Un contrasto talmente evidente tra l’austerità del personaggio e l’opulenza degli ambienti, da suscitare una folta schiera di polemiche.
Con l’arrivo di Abraham Lincoln, la passione per l’arredamento nutrito dalla sua autorevole sposa superò il budget messo a disposizione dal Congresso. 20.000 dollari non bastarono, per pagare tappeti e stoviglie di pregiata porcellana, attirando così le critiche dell’opinione pubblica, per le spese ritenute eccessive, in un periodo di guerra.
Verso la fine del XIX secolo, Chester Arthur, rimasto vedovo, assunse un famoso consulente, per rinnovare gli interni. Tra le creazioni più memorabili di Tiffany figura un paravento in vetro opalescente posto all’ingresso, immortalato nel dipinto The Grand Illumination, di Peter Waddell.
Roosevelt optò, invece, per i classici francesi dei secoli XVIII e XIX, pensati per impressionare la nuova comunità diplomatica che si stava stabilendo a Washington. Tra gli interventi più significativi – giusto per fare un esempio – l’ampliamento della sala da pranzo di Stato, decisione attribuibile alla necessità di dare maggior spazio e rilievo alla politica estera.
Franklin Delano scelse di creare l’originale sala riunioni nell’Ala Ovest, con acquari e strumenti per la pesca, tanto gradito, in seguito, anche ai suoi successori. John F. Kennedy, anzi, vi volle aggiungere un pesce vela, personalmente pescato in Messico.
Jackie ingaggiò Dorothy “Sister” Parish, considerata la madre dell’American Country Style, per rinnovare le stanze del piano superiore. Ovviamente, la cifra sponsorizzata per l’impresa si rivelò, ancora in questa occasione irrisoria, perciò la donna fondò la White House Historical Association, con l’intenzione di attivare un certo numero di benefattori, che potessero contribuire di propria sponte ai restauri.
Parish progettò la Stanza ovale gialla, ricca di dettagli lussuosi.
Dopo l’assassinio di Kennedy, Lady Johnson si impegnò a trasformare la Casa Bianca in vessillo di unità nazionale. Nel 1965 e 1966 decorò l’albero della Blue Room con ornamenti ispirati alla tradizione americana: noci, frutta e biscotti di pan di zenzero.
Nel 1981, Nancy Reagan apportò un tocco glamour, assumendo il designer Ted Graber per ri-arredare la villa, con un progetto dal valore di un milione di dollari. Si diede luogo, in pratica, ad un vero e proprio set, all’altezza della storia di Hollywood.
Con l’arrivo di Barack e Michelle, l’estetica delle stanze ha assunto un tono sofisticato e contemporaneo, sotto la guida di Michael S. Smith. Principale obiettivo, offrire alle figlie degli Obama un ambiente familiare e confortevole.
All’attenzione, anche le porcellane presidenziali, la selezione di regali per i dignitari e l’opzione di opere d’arte moderne, comprendenti pezzi di Glenn Ligon, Alma Thomas e Mark Rothko.
L’amministrazione Trump ha preferito rivolgersi ad un mood classico, sontuoso, collaborando con la newyorkese Tham Kannalikham. Nello Studio Ovale sono state sostituite le tende rosso intenso con altre dalla timbrica oro ed è stato reintrodotto il busto di Winston Churchill, sostituendo quello di Martin Luther King Jr., preferito dal predecessore. Rivisitata anche la Queens’ Bedroom, con pareti chiare e letto dorato.
Supervisionato – inoltre – il restyling del Rose Garden, se ne è migliorato il drenaggio e raddrizzati i sentieri.
In quanto a Biden, quest’ultimo ha messo nel talento di Mark D. Sikes il rinnovo del suo ufficio, tinteggiato con note pastello, in perfetto stile americano. Adesso il neo rieletto Trump potrebbe ulteriormente modificare le cose ma è un argomento, tutto ancora da vedersi…
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