Il Gattopardo: ricco, lezioso, sontuoso, soprattutto. Oggi, come e più di ieri

Il Gattopardo: ricco, lezioso, sontuoso, soprattutto. Oggi, come e più di ieri

Pensare che, per il ballo, un vestito è dovuto durare un mese e una settimana. Quando, il primo giorno, ho visto buttare tutto dentro a quei saloni… ho detto: domani, non lo vediamo più“. Parola di Piero Tosi, in merito al sontuoso abito indossato da Claudia Cardinale, ne Il Gattopardo di Luchino Visconti. Per quella sola scena, la produzione spese venticinque milioni di lire, nel lontano 1963. Una cifra titanica, per riprodurre su pellicola le vicende che vedevano protagonista la Sicilia del 1860 e i fatti storici che interessarono il periodo.

Garibaldi e il suo sbarco, in quel di Marsala, con le promesse dei suoi Mille e, di contro, la nobiltà locale, che ‘solo’ si limitava ad assistere al declino di un’epoca. La nascita di una nuova classe borghese, arricchita, incolta e avara e, al centro di riflessioni più o meno amare, l’amore. Quello – come sovente accade – tra due giovani: la figlia del nuovo sindaco del paese, tra le fila di questi ultimi parvenu e il nipote del nobile Gattopardo.

Dunque, facciamo i conti con un regista dettagliatissimo e intransigente, nel riprodurre il tipo di abbigliamento dell’epoca e dare vita, alfine, ad un’Angelica (Claudia Cardinale) che, in sé, racchiude le infinite istanze del secolo di cui è figlia.

Così, davanti alla macchina da presa si sfoggia “una vecchia organza di Dior, di un bianco opalino” e, ancora, la scollatura profonda, con berta e fiocco centrale; le maniche corte, la gonna più gonfia dietro e ai lati, piatta frontalmente. Compreso, il tutto, dei guanti corti ricamati e del celeberrimo bustino, capace di ridurre il giro vita dell’attrice che lo indossava, da 68 a 53 centimetri. Per non parlare delle rouches, sorta di delicatissime increspature, ad enfatizzare ogni sia pur piccolo movimento.

Ebbene, dall’ultimo Ciak è stato conservato non senza difficoltà e, dal 2001 rivive, merito della sua riproduzione fedele, sui toni del verde chiarissimo, in tour, nelle svariate mostre dedicate ai costumi degli Oscar e alla moda italiana.

Adesso, a 60 primavere di distanza dall’omonimo, Netflix ci ripropone il romanzo firmato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in una serie tv, in sei episodi. La storia la conosciamo. Proseguiamo, pertanto, a parlare di vestiti. Del resto, “c’è poco da fare. In un film o in una serie, la prima cosa che attira l’attenzione è l’abito. Ecco perché deve essere intrinseco di significati“, ribadisce Carlo Poggioli. Lo stesso che, ai tempi, aveva collaborato, proprio al fianco di Tosi.

Sapevo che il confronto con il film sarebbe stato inevitabile… Il regista, Tom Shankland, mi ha però tranquillizzato ed è stata la costumista Gabriella Pescucci, un’altra mia grande maestra, a incoraggiarmi ad accettare. A tal proposito, “mi è stato di grandissimo aiuto l’incontro con Raffaello Piraino che, a Palermo, nella sua Casa Museo, conserva tanti abiti siciliani dell’aristocrazia dell’epoca. Abbiamo potuto ispirarci a quelle forme e colori e vedere da vicino i ricami, favolosi. Oggi che rivedo le foto, i bozzetti e la quantità di costumi creati, mi chiedo come abbiamo fatto a realizzarli per davvero. Sono sorprendenti“.

Il fatto di ragionare su costumi permette – d’altronde – di avere una narrazione storica molto più ampia, con approfondimenti dal libro e qualche licenza nel copione. Questo ci è servito per raccontare il passare del tempo, anche grazie ai tagli degli abiti. Per esempio, i corpini appaiono inizialmente a punta, poi il taglio in vita si fa più dritto, come dettava la moda. Altra cosa curiosa che abbiamo voluto fare è raccontare l’usanza, tipica di quei tempi, di mettere due corpini diversi con la stessa gonna, essendo capi costosi“.

Certo, abbiamo alleggerito, pur restando fedeli alle forme. Soprattutto nei balli, vivono le leggerezze. Abbiamo realizzato sottogonne talmente leggiadre, che i ballerini, in scena, volano… Al posto delle stecche di metallo, abbiamo usato il rigilene, permettendo il movimento degli attori… Ai tempi, l’abito dava il comportamento e la postura… Stesso ragionamento per gli uomini: le giacche dovevano essere strette in vita e attaccate alle spalle, gli stringi pancia dovevano rendere la postura eretta e aristocratica“.

I bravi costumisti devono – inoltre, saper – lavorare sugli attori, enfatizzando il loro incarnato. Ovviamente, nel rispetto del discorso narrativo”. Si cuce, insomma, “a servizio dell’evoluzione del personaggio“.

Ore ed ore di incessante lavoro – veniamo a sapere – dovute al vestito e alla complessità di decorati e ricami. Tre/quattro settimane, per modello. “In generale, per lo sviluppo di tutti i costumi, c’è voluto circa un anno“. Non possiamo, poi, esimerci dal citare le scarpe. Perfette per le forme ma anche nei tacchi, per facilitare i movimenti. “Abbiamo fatto più di 2000 scarpe nuove e circa 400 abiti. I taffetà che abbiamo trovato sono incredibili….“.

Li abbiamo realizzati, praticamente tutti nuovi… Abbiamo pensato al clima caldo della Sicilia. Così, per esempio, abbiamo spesso fatto apparire i personaggi maschili sudati e con camicie sbottonate. Anche nelle coloriture rivivono le nuance siciliane degli ulivi e del mare. E’ stata una ricerca più libera rispetto al Gattopardo originalesono passati oltre 60 anni dal film di Visconti e proponiamo una versione, decisamente più moderna“.

Nella ricerca dei materiali, abbiamo coinvolto tutte le sartorie d’Italia… Abbiamo studiato molto, dalle crinoline ai tessuti, spaziando da quelli inglesi sino ai francesi… Abbiamo anche lavorato molto di imbottiture, perché la moda storica si fa così…”

Un tributo fra i tanti, “il decoro a tasto di pianoforte, ripreso negli abiti di Angelica e in quello nuziale“.

Per quanto riguarda i gioielli, poi, “ci siamo avvalsi di rifornitori che lavorano per il cinema“, con pezzi d’epoca, appositamente ricostruiti. Alcuni, tuttavia, sono stati rifatti ex novo, con le conseguenti ed inevitabili difficoltà legate alla scelta. Tra i numerosi realizzati, la più curiosa è la parure collana e orecchini, che si vedrà a metà serie, regalata ad Angelica e con un disegno realizzato appositamente. Era importante, da sceneggiatura, che fosse un gioiello di famiglia e, per questo, abbiamo studiato un design più antico rispetto” al resto. “Il disegno è più rococò, con diamanti su argento. Angelica la sfoggia, insieme agli orecchini abbinati, per dimostrare a tutta Palermo di essere una vera principessa“.

Andrea Viotti dal canto suo – “ha fatto un’eccellente consulenza sulle divise militari. Certo, i costumi dell’epoca già a disposizione erano di taglie così piccole, che non abbiamo potuto metterle a nessuno. Sono cambiati i corpi delle persone; gli uomini sono più alti e muscolosi. Abbiamo, quindi, dovuto realizzare anche gran parte delle divise degli ufficiali, per le scene militari ma anche borghesi.
Abbiamo
– ciò non di meno – snellito il rigore delle divise d’epoca, giusto per strizzare l’occhio ad un pubblico più contemporaneo”.

Gli abiti indossati da Don Fabrizio Salina? “Ci piaceva un’eleganza non troppo ingessata su di Lui, tra il raffinato e il grezzo, come è la sua personalità“.

Maestranze al lavoro, tradotto, oggi come allora, per riprodurre quanto di meglio lo Schermo possa offrirci. Clienti volontari noi, ora più che allora e in grado di valutare con spirito critico un prodotto che, semmai non dovesse soddisfarci per qualità, si presenta comunque con tutte le carte in regola per stupirci, in quanto a professionalità e stile. Risultato di un processo lungo e minuzioso e quando si opera così bene in squadra, difficile che alla fine non ci si guadagni un ‘Bravi!

LEGGI ANCHE: Per la Befana, tutti a tavola con il Pasticcio del Monsù

LEGGI LE ALTRE NEWS CHE SI PCCUPANO DI SPETTACOLO E TV