Il Floodlighting e la Generazione Z

Il Floodlighting e la Generazione Z

Roba da giovani‘, si sarebbe commentato una volta. Quella serie di atteggiamenti che, noi più in là con l’età, non avremmo, ai nostri tempi, mai assunto. Non avremmo, di sicuro, trasgredito alla ‘regola del terzo appuntamento‘. Qui – invece – si corre, benché ci si sia appena conosciuti. Tendenza, che prende il nome di Floodlighting (letteralmente, illuminazione).

In pratica, ci si incammina subito alla ricerca di un’intimità emotiva, mettendo sul piatto, nell’immediato, aspetti e sfaccettature estremamente personali: traumi, storie precedenti finite male, paure, idiosincrasie… che, di solito, si tende a confessare a relazione già avviata.

Ebbene, le intenzioni, al riguardo, per quanto comprensibili, rischiano di spaventare il candidato/a di turno, che nel giro di poco si sente soffocato da una serie di responsabilità, laddove i legami, per consolidarsi, abbisognano del ripetersi dei giorni.

Non solo. Sono numerose – anche questo segno dei tempi che corrono – le frodi on-line. Aumenta, difatti, il numero dei truffatori, intenti ad adescare la propria vittima raccontando, senza filtri, informazioni personali, per creare un falso e prematuro senso di fiducia.

Si percorre, insomma, l’esistenza, con il piede poggiato sull’acceleratore. Dire che il fenomeno in questione nasce dall’esigenza, senza dubbio sincera, di connettersi con l’altro/a. Si bruciano le tappe, nell’idea che, in tal maniera, si riesca a carpire più rapidamente l’attenzione di chi ci è di fronte, smuovendone il senso empatico. Male, in una società governata dall’ansia, suddita dei Social Media e che poco è allenata all’espressione dei sentimenti. La convinzione che aprirsi porti l’altro a fare altrettanto, poi, può rivelarsi un cataclisma. Spesso, a dispetto delle aspettative, la risposta del possibile partner è di chiusura. Un imbarazzante e ‘fragoroso’ silenzio.

Onde evitare di cadere nel meccanismo, gli esperti consigliano – banalmente – di concedersi tempo. Concentrarsi, prima di tutto, su di sé e comprendere come debba essere, secondo schemi personali, la coppia. Nell’ormai lontano 1973 si parlava di Teoria della penetrazione sociale. Il rapporto – cioè – può essere considerato alla stregua di una cipolla. Ci si svela gradualmente, strato dopo strato, stando all’erta nel forzare il dialogo. Rimanendo sulla stessa lunghezza d’onda, carpendo il parlato che si nasconde nei gesti… Ascoltando, insomma e ascoltandosi.

Rivelare le proprie vulnerabilità serve, probabilmente, più a rassicurare se stessi e allora, spiega chi dell’argomento ne sa, meglio è rivolgersi ‘direttamente alla fonte’. Raccontarsi, magari attraverso la scrittura su un diario; affrontare i passaggi di una terapia e tenendo, soprattutto, a mente che si può stare bene, anche da soli. Il tutto, come in ogni ricetta ben riuscita, sta, in sunto, nel saper gestire tempi e modi.

Non esistono scorciatoie per l’intimità, specie in una società preda di atteggiamenti ‘alterati’. Il catfishing, ad esempio, ossia l’inventarsi una falsa identità online, per instaurare una storia fittizia, o l’hoodfishing, che si verifica – di contro – quando si mente sul proprio indirizzo di casa, per ottenere maggiore credibilità.

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