Storia del divorzio: quando ancora non si poteva dire di No!
Il 12 maggio 1974 gli Italiani furono chiamati alle urne e sancirono, in tal maniera, la possibilità di sciogliere un connubio ‘poco gradito’. Salvaguardarono, in poche parole, una legge in vigore da quattro anni ma osteggiata dai movimenti di opinione cattolici, intenzionati ad abrogarla, via referendum.

Insomma, il ‘finché morte non vi separi‘, da allora, non è più stato un problema ma viene da chiedersi: ‘Cosa accadeva prima? Quando, ancora, si agiva e si decideva Nel nome di Dio?’.
Prendiamola, allora, alla lontana, per non perderci neppure un pezzettino di Storia.
Tanto per cominciare, la possibilità di dirsi addio non era esclusa tra gli antichi Greci e rimase gettonata, per un certo periodo, anche tra i Romani. Fu l’avvento del Cristianesimo a cambiare le cose: “Fu la Chiesa a mutare l’idea di matrimonio, trasformandolo in un legame sacro e, pertanto, indissolubile“, spiega chi, al riguardo, ne sa.

C’erano casi in cui, attraverso l’intervento dell’Autorità ecclesiastica, si riusciva a porre fine all’Unione, ritenuta scomoda o non voluta. Eccezioni, tuttavia, in barba alla massa, motivate, per lo più da ragioni politiche o rapporti peso-forza tra il richiedente e la Chiesa. In alternativa, va detto, le scorciatoie erano spesso spregiudicate.
A tal proposito, le manovre forse più azzardate furono proprio ad opera di un Papa.
Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, per amor di potere fece di tutto, ma proprio di tutto, manovrando la sua progenie, alla guisa di pedine.
Alla figlia Lucrezia (1480-1519) impose ben tre mariti; due, finiti decisamente male. Per poter procedere all’annullamento del primo matrimonio con Giovanni Maria Sforza, lo sposo venne tacciato di impotenza. A nulla valse l’eventuale soluzione, proposta dal cugino Ludovico il Moro. Dimostrare, cioè, la personale virilità davanti a testimoni. Giovanni rifiutò l’esibizione ma fu costretto, suo malgrado, a capitolare. Firmò la dichiarazione d’impotenza. A sbarazzarsi di un amante scomodo (probabilmente causa di una gravidanza indesiderata) e del secondo marito, Alfonso d’Aragona (di cui la donna era inaspettatamente e realmente innamorata), pensò il fratello Cesare – il Valentino – organizzando l’assassinio di entrambi.
In un universo costellato di intrighi e veleni, solo il terzo marito, Alfonso D’Este, si poté dire salvo.
A fronte di Lucrezia, incinta per errore o per eccesso di passione, la sterilità ricorreva tra le motivazioni più adoperate per porre termine al legame, poco gradito. Così avvenne, ad esempio, per re Enrico di Navarra (1553-1610), desideroso di liberarsi della spregiudicata Margherita di Valois e contrarre nuove nozze, con Maria de’ Medici. La mancanza di eredi fu la scusa. I due vivevano, difatti, separati da molti anni, ma Margherita sfruttò bene la situazione. Si lasciò convincere, dopo sei lunghe primavere di trattative, da un lauto compenso e dalla garanzia di un tenore di vita, adeguato al suo rango. Anche nel caso in questione, va specificato, era interesse della Chiesa che la manovra andasse in porto.
Non altrettanto bene andò ad Evdokija Fëdorovna Lopuchina (1669-1731), caldamente ‘invitata’ dal consorte, lo zar Pietro I (1672-1725), invaghitosi di una dama di corte: Anna Mons, ad intraprendere la via del Convento. Inutili e infruttuose le rimostranze della Zarina, bandita dalla Russia e rinchiusa nel Monastero dell’Intercessione di Suzdal.

Non da meno, negli anni a seguire, Caterina II, spazientita dalle stramberie del regale marito, Pietro III.
Ebbene, la Grande Caterina organizzò addirittura una congiura, per incarcerarlo e, una volta in prigione, l’uomo venne assassinato. Acume e intelligenza furono i compagni, a venire, della Sovrana, riconosciuta da tutti come saggia e lungimirante. Una donna libera, a tutti gli effetti.
D’altronde, già parecchi secoli prima, la regina Zoe di Bisanzio (978-1050) aveva pensato di risolvere i propri problemi cancellando gli ‘errori’ alla radice. Non solo faceva sparire i mariti dalla sua vita ma ne eliminava il ricordo anche dalle opere d’arte.
Il suo primo consorte – per dirne una – Romano III, commissionò un celebre mosaico, conservato in Santa Sofia, ad Istanbul. Indubbiamente, il capolavoro non gli portò gran fortuna. I rapporti fra i due si deteriorarono a tal punto che Zoe si sbarazzò del coniuge, facendolo uccidere dall’amante, Michele il Paflagonio (1010- 1041). La stessa notte, i due si sposarono e il volto dell’assassino sostituì, nella rappresentazione, quella del legittimo consorte. Venuto meno financo Michele, i tasselli assunsero, quindi, le sembianze del terzo ‘fortunato’: Costantino IX Monomaco, la cui immagine rimane tuttora intatta.

Uno che volle – e seppe – battere tutti i record, in quanto a strategie matrimoniali, fu senza dubbio Enrico VIII (1491-1547), ritenuto, secondo molti, l’uxoricida più efferato della Storia.
Mosso da lussuria e bisogno dinastico inanellò sei mogli e se, di volta in volta, escogitò il modo per liberarsi della dama precedente, in favore della successiva, fu soprattutto il primo divorzio a lasciare il segno.
Determinato a ricevere l’annullamento papale rispetto al rapporto con Caterina d’Aragona, ‘colpevole’ di non aver generato un figlio maschio in buona salute, il re fremeva per condurre tra le sue lenzuola la dama di compagnia della moglie: Anna Bolena.
Guerra di nervi, quella a seguire, che condusse direttamente allo Scisma, sancendo la definitiva rottura tra la Chiesa Anglicana e la Cattolica.
Non bastò la scomunica, perché il Re tornasse sui suoi passi ma, ironia della sorte, la Luna di miele durò poco. Incapace, anche la nuova arrivata, di soddisfare le esigenze di Sua Maestà. Accusata, pertanto, artatamente delle accuse più infamanti, dall’adulterio all’incesto, alla stregoneria, solo tre anni dopo le nozze, venne decapitata.
Perse la testa, anche Catherine Howard, guarda caso cugina di Anna e quinta moglie del Monarca. La poveretta pensò forse di concepire un figlio con l’amante Thomas Culpeper (re Enrico era ormai malato e imbolsito) ma, scoperta la tresca, la fine si rivelò inevitabile. Diversamente, si salvarono l’ultima moglie, Caterina Parr, e la quarta, Anna di Cleves, sposata per ragioni di Stato ma ‘fortunatamente’ poco attraente agli occhi di Enrico che si limitò, con la suddetta, ad un banale annullamento, a pochi mesi di distanza dal Sì. In quanto a Jane Seymour, terza in ordine di tempo, fu una febbre puerperale a portarla via.
Dati i precedenti, Elisabetta I (1533-1603), figlia di Anna Bolena, aggirò il problema, non sposandosi.
Estinta la dinastia Tudor e le loro soluzioni estreme, pratica ricorrente era, invece, tollerare l’infedeltà.

Maestra nell’arte della dissimulazione fu Caterina de’ Medici (1519-1589), regina di Francia, che sopportò, per l’intero arco del matrimonio con il re Enrico II, la presenza della favorita Diana di Poiters, 18 anni più vecchia dell’amante ma bellissima ed esperta in arti amatorie. Caterina non solo evitò di allontanare da Corte la rivale ma ne divenne, anzi, spesso complice. “Le situazioni irregolari” – del resto – “sono sempre esistite e perfino tollerate, specie tra i membri delle classi nobili. I matrimoni erano spesso combinati, l’amore si cercava fuori…”. A favor di problema vinceva, in sunto, il buon senso e da noi?
“In Italia, è celebre il caso di Giulia Beccaria, figlia di Cesare e sposata al conte Pietro Manzoni, innamorata di uno dei fratelli Verri. È quasi certo che Alessandro Manzoni non sia figlio di Pietro, ma dell’amante della madre, che successivamente ebbe apertamente come compagno anche Pietro Imbonati“. Figli illegittimi che, però, si tendeva a regolarizzare, onde evitare a loro carico conseguenze giuridiche effettivamente pesanti.
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