Candida… come una Sposa

Candida… come una Sposa

Tradizioni, che raccontano di origini lontane e di una cultura collettiva, coltivata per anni. Eppure, al di là dell’apparenza esiste un punto di inizio. Un momento, che ha sancito le regole e a cui ci si è continuati ad appellare, per anni. Tale è, anche nel caso dei matrimoni. L’immagine eterea della Sposa è talmente radicata, oramai, da rendercela quasi scontata. La realtà, tuttavia, ci offre una versione altra della questione, che non affonda le radici né nella lussureggiante Babilonia, né nei fasti del Rinascimento.

Si tratta di un’abitudine maturata assai più di recente, appena due secoli fa, quando la regina Vittoria d’Inghilterra scelse di indossare un abito immacolato di bianco, in occasione delle nozze con il principe Alberto di Sassonia. Una decisione, ai tempi, inusuale, destinata, per paradosso, a divenire icona delle cerimonie moderne.

Dicevamo: in passato, in un passato remoto, non era così. Le nubende delle epoche più antiche erano solite indossare vesti colorate e dai significati simbolici. Le ateniesi, ad esempio, prediligevano le sfumature viola pallido e rosso mattone; mentre le giovani romane si lasciavano avvolgere da drappi zafferano, arricchiti dai toni del mirto e dei fiori d’arancio. In India, il verde smeraldo era prediletto, poiché sinonimo di fertilità e vita.

Ancora, presso la dinastia Han, in Cina, il nero inchiostro la faceva da padrone. Nulla a che vedere con i concetti di purezza e castità introdotti più avanti dal Cristianesimo. Le varie nuance venivano selezionate, sintomatiche dei valori profondi dell’unione familiare: amore, prosperità, longevità, armonia.

Tant’è, a simboleggiare Impara a usare l'intelligenza artificialeil calore del focolare erano, inizialmente, le declinazioni del rosso e dell’arancio. Tinte che, ai tempi, evocavano devozione, vitalità e ardente passione. Né mancavano variazioni, in supporto ai temi della sorte propizia o della fedeltà; i bouquet, in tal caso, venivano decorati con rami di rosmarino, che stava a rappresentare la costanza di un legame incrollabile.

Agghindate con mise scarlatte o cremisi, confezionate in broccati, velluti e damaschi preziosi viaggiavano le dame del Medioevo, a richiamare gli accenti sanguigni del desiderio, della maternità, e del sacrificio – reale o ideale – che l’amore eterno esigeva, capisaldi di un sentimento eterno.

Ecco, quindi, che dobbiamo attendere fino al 1406, in virtù dello sposalizio tra la principessa Philippa d’Inghilterra e il re Erik di Scandinavia, per intravedere i segni di un cambiamento, che si dimostrerà epocale. Il primo vestito in lino candido, rifinito con pelliccia di ermellino, soluzione insolita per l’epoca che non lasciò, al momento, un’impronta duratura. Considerato più l’attestato di un gesto eccentrico che il segno di una rivoluzione stilistica, lo si prese poco in considerazione, fino almeno al secolo successivo quando, nel 1558, la faccenda si ripropose, con un accento, ugualmente sporadico e non codificato.

Tutta altra storia nel 1840. Il bianco, grazie alla figura della Regina Vittoria, avrebbe assunto il significato e la diffusione a cui oggi siamo avvezzi.

Provò ad indossarlo anche Mary Stuart, regina di Scozia, nel giorno delle sue nozze con Francesco II, ma la decisione fu accolta al pari di un cattivo presagio, abituati ad associare, nella Francia rinascimentale, il colore chiaro al lutto. La morte prematura del marito e l’assenza di eredi contribuirono ad associare l’infausto colore a un marchio di sventura, inducendo ad evitarlo, pertanto, laddove fosse stato possibile.

Nei decenni successivi, le corti europee preferirono derogare. La principessa Carlotta Augusta di Hannover, ad esempio, nel 1816 ripiegò su un elegante abito in lamé argentato, impalmata da Leopoldo di Sassonia-Coburgo; mentre presso la corte napoleonica si diffusero tonalità tenui e pastello.

Tutta altra storia, il 10 febbraio 1840. Il bianco, grazie alla figura della Regina Vittoria, avrebbe assunto il significato e la diffusione a cui oggi siamo avvezzi. Del resto, le consuetudini vennero spezzate da più punti di vista. Si trattava di abdicare alla strategia politica, in favore di emozioni sincere. Cuore e stile, in sintesi, a riscrivere la storia.

Il raso avorio proveniente dalle manifatture di Spitalfields era, nel dettaglio, rifinito con eleganti balze di pizzo Honiton su maniche e colletto, accompagnati da una sottogonna rigida in crinolina e un lungo velo trasparente. A complemento, una corona di mughetto, foriera di fortuna e i gioielli della Corona.

Più in là, nel 1924, altre due aristocratiche celebrazioni posero il timbro su un qualcosa che, oramai, era stato ufficialmente sdoganato. Jeanne Lanvin, icona della moda parigina, disegnerà per la figlia Marguerite Marie-Blanche, diretta all’altare, un raffinato figurino, in perfetto equilibrio tra modernità e tradizione sartoriale. Parimenti, oltreoceano, la celebre Maison americana Farquharson & Wheelock firmerà il Sì di Cornelia Vanderbilt, per il suo matrimonio con John Cecil. Una creazione in stile tabard, con tunica in pizzo, veste in seta, un ricamo floreale delicatissimo, velo in raso Duchesse e un bouquet, composto da mughetti e orchidee, piena sintesi degli anni ’20.

Nei ’30, sarà Blanchette Hooker a catturare l’attenzione, neo moglie di John D. Rockefeller III; mentre la vera rivoluzione la scriverà – negli anni ’50, Christian Dior con il suo New Look. Tra le vette più indimenticabili e rappresentative, poi, il capolavoro firmato Helen Rose: l’abito indossato da Grace Kelly, nuova principessa di Monaco.

Da lì, è stato uno spalancarsi di porte e di idee, firmati dagli stilisti più prestigiosi del XX secolo: Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld, Valentino… hanno contribuito, ciascuno a suo modo, ad una visione univoca della Sposa, in l’elemento del sogno e della femminilità rimanessero protagonisti.

Oggi, sull’orma di quanto detto, ogni sposa interpreta se stessa, In molte ripercorrono il tracciato già scritto ma tante si aprono ad ulteriori e più fresche interpretazioni, memori del fatto che ‘il giorno più bello’ è e deve rimanere unico. E indimenticabile.

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