Ristoranti: il calvario degli addetti ai lavori
Lo rendono chiaro i ristoratori: in molti non apriranno a pranzo. Il numero dei turisti langue e lo smatworking ha finito per trascinarsi via almeno 430mila impiegati pubblici. Vale a dire: sono più alte le spese che i guadagni. Senza parlare del fatto che rimane da saldare le utenze, comunque allacciate, provvedere gli affitti dei locali e pensare ai dipendenti. Già, i dipendenti.
Secondo la Confesercenti, almeno otto su dieci torneranno in cassa integrazione, senza alcuna garanzia del proprio posto di lavoro. Va ricordato, a tal proposito, che circa duemila addetti al settore devono ancora ritirare la cassa integrazione di marzo: la stragrande maggioranza, gli assegni di giugno. E che dire degli stagionali, per i quali, oltre lo stato di precarietà, si paventa il fantasma della mancanza di sussidi o bonus?
Numeri alla mano, il conto è drammatico. In tutto, stando ai dati della Cna di Roma, tra aziende artigiane, bar, locali e gelaterie, il DPCM coinvolge almeno 174mila imprese e quasi 408mila lavoratori. Uno stuolo di persone, che vive di commercio e turismo e che non comprende il senso di chiudere alle 18.00, per rimanere poi aperti la domenica.
STORIE DI CHEF…
“Noi siamo come comandanti di una nave e non possiamo mollare, ma come faccio? Riproporremo i rave party, dalle 5 di mattina a mezzogiorno: buon cibo e musica. Magari poi faranno un altro decreto. Grazie al Governo per questa nuova opportunità”. E’ un sarcasmo amaro, quello di Antonello Colonna, ambasciatore della cucina italiana nel mondo.
“Per ora non chiudo, ma mi devo mettere a tavolino, per capire la situazione. Potrei essere costretto a sospendere qualche attività. Spero che fra un po’ il Governo metta un cartello, con scritto che stiamo su Scherzi a parte”. Ha l’animo esacerbato, l’imprenditore: “L‘Italia non è solo fatta dalle piazze della movida. Tutte le migliaia di imprese a conduzione familiare, che rispettavano le misure anti-Covid, che fine faranno?“.
“Ci devono dare una rotta… Chiedo che il Governo coinvolga gli imprenditori perché la chiusura alle 18.00 non ha senso… nessuno ci ha interpellati“.
E’ evidentemente irritato, lo chef che, oltre ad essere stato insignito di una stella Michelin, tre cappelli Gambero Rosso e due Espresso, ha alle spalle numerose serie tv di successo. Ha cucinato per la Nazionale, per la regina Elisabetta e i suoi locali a Labico e a Roma sono rinomati perfino Oltreoceano. Così la sua voce – una fra tante – emerge dal coro dei 47.550 operatori che, secondo le associazioni di categoria, chiuderanno. Il destino è già tracciato.
…E DI IMPRENDITORI
Ma di realtà coinvolte in questa debacle ne esistono di infinite. E’ il caso, ad esempio, de La Locanda dei Girasoli.
“Il nuovo Dpcm è stato per noi il colpo finale. Dopo un’annata andata avanti a singhiozzo, chiudiamo i battenti“. Un sogno iniziato 20 anni fa, con l’obiettivo di promuovere l’inserimento lavorativo di persone con sindrome di down e disabilità intellettiva, spezzato, ora, bruscamente. Dopo battaglie, petizioni, sacrifici… la saracinesca si abbassa.
“I fatturati erano troppo bassi“, spiega Enzo Rimicci, a capo dell’attività. “I clienti affezionati, un po’ intimoriti dal virus, ma anche dal diffuso allarmismo, hanno evitato di venirci trovare“. E dire, aggiunge, che “ci siamo muniti di termometro, mascherine, gel disinfettante e di tutti i dispositivi richiesti. Eppure, la crisi economica ha incalzato, giorno dopo giorno“. Tutto inutile, il decreto ha inferto il colpo di grazia: “Noi apriamo solo la sera… ha significato una morte annunciata“.
Appare, dunque, chiaro come il bonus da 600 euro non possa più essere sufficiente. Serve, secondo quanto afferma il sindacato Uil, la proroga del blocco dei licenziamenti e misure economiche di indennizzi strutturali. Infine, aprire un tavolo delle trattative, per gestire le emergenze e per il piano di ripartenza dal Mes. Intanto, chi rappresenta le piccole e medie imprese chiede una norma per abbassare gli affitti e avviare la “pace fiscale”; il taglio, cioè, totale o parziale dei debiti.
“Il livello di allarme è altissimo“, si denuncia. E l’appello è unanime: “La tensione sociale rischia di salire a livelli preoccupanti“.
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