Lettera mai inviata a Gigetto ‘nostro’
Non posso salutarti, perché sono un’egoista. Perché non riesco. Non posso salutarti perché non me ne frega niente dei tuoi 80 anni. Io avevo, ho ancora bisogno di te.
Non posso salutarti, perché questo mondo mi sta insegnando, ora dopo ora, quanto la parola ‘addio’ sia cocentemente concreta. Non posso pensare di averti avuto qui… e immaginare un’esistenza, ancora, dove tu non ci sia.
Non voglio ricordare. Su quel palco sei salito troppe volte… protagonista, coprotagonista, comparsa… ti destreggiavi, da solo, per tre ore o anche di più, Maestro d’incanto e di risate.
“A me gli occhi, please” e l’universo ce lo avevi in mano. Lo possedevi con garbo, per poi restituirlo, ognuno alla sua vita, alla casa, agli affetti… ma arricchito di una Luce dentro, la tua. Quella roba enorme che si percepiva anche solo standoti vicino.
Non posso salutarti, perché non riesco a capire, a capacitarmi di proseguire senza la tua smisurata umanità.
Tu l’arte ce l’avevi nel sangue. Eri un ladro di emozioni. Marlon Brando, Robert De Niro, Dustin Hoffman… gli hai rubato la voce per imporgli la tua, così riconoscibile e piena. Tu, Genio della lampada, hai avuto l’ardire di rovistare perfino tra i cassetti di Walt Disney. E ti sei reso indimenticabile.
Ti sei armato di tecnica, ironia, carisma e sei andato, girovago, alla conquista del tuo pubblico. Lo hai fatto, prima di sottecchi, sbirciando dalle quinte del palco teatrale, poi attraverso la Tv, il Cinema… senza risparmiare nessuno, perché eri ingordo, volevi far innamorare proprio tutti. Attore d’avanguardia che si fece pop… ti detesto, perché tra quelle persone c’ero anche io, che ti guardavo, ad occhi palancati, e mi entusiasmavo di fronte al tuo generoso, infinto, talento. Un fiume in piena contornato di umiltà.
Mi fai rabbia, Mandrake, tu che della battuta hai sempre fatto la tua personalissima cifra. Tu che il Brancaccio l’hai seguito e coccolato, per anni, come fosse figlio tuo… ed io, proprio lì dove ti eri tanto speso, danzavo. Fiera anche solo di calpestare il terreno su cui tu edificavi.
Non posso salutarti, per tutte le volte che mi hai presa per mano. Eri il Maresciallo Rocca, l’Avvocato Porta… eri tutto quel che ti pareva: musicista, cantante, doppiatore… eri la mia Dama di compagnia nelle ore ore in cui, in solitudine, trascorrevo il tempo a studiare.
Eri una fonte di scoperta e di ammirazione. La sorpresa di Natale ricevuta anzitempo. Incartata alla buona, magari, ma tanto poi si sa. Il pacco va strappato.
Ti odio, perché mi hai sedotta, mi hai fatto innamorare di te, di quel che facevi. Soprattutto, dell’animo con cui ti spendevi. Non sopporto l’idea di volerti ancora assomigliare. Tu, che avresti potuto essere mio padre, che hai rappresentato un esempio…
Una volta abbiamo riso insieme. Oh, tante volte… ma quella volta era ‘vera’. Eravamo occhi negli occhi, in un camerino e in quell’occasione ero io a confiscare ogni cosa di te. Le espressioni del volto, le increspature del parlare… ero disperata al pensiero che potesse sfuggirmi anche il più ingenuo particolare. Bulimica di quel che trasmettevi, di quel che, inconsapevolmente, mi stavi donando, in esclusiva.
Mannaggia a te, Gigetto, che – per dirla a modo tuo, ‘me potresti arisponne: ‘Nun me romper er ca’…. Lassame annà, che mo’ è ora‘. Ma non posso, te lo ripeto… non posso.
Così mi fermo, attonita ma rispettosa, insieme al resto della folla e lascio parlare te, che lo sai fare tanto meglio di me che t’ho voluto, ti voglio ancora, bene.
“Signor Conte io non scherzo. Non scherzo mai.. Io gioco. Sì, er gioco è una cosa serissima. Perché chi scherza lo fa pe divertisse, ma chi gioca punta, s’illude, s’inventa un lieto fine.. Che non arriva mai”. Mandrake/Proietti
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