Una, cento, mille Mina! La tigre di Cremona compie 80 anni
80 e non sentirli. In questo caso, probabilmente è come non averli, per una che sembra riuscire ad indossare con disinvoltura qualsiasi tipo di aggettivo: intelligente, moderna, libera, rivoluzionaria… in arte, Mina.
Rumorosa, senza essere presente, la donna dagli istrionici volti manifesta il suo più grande talento – nell’era dell’apparire – nell’esserci senza farsi vedere. Un’assenza che urla, che prende corpo dopo l’ultima esibizione alla Bussola di Marina di Pietrasanta, quel lontano 23 agosto del 1978, mettendo, tra il mito colto e polare ed il suo pubblico, un argine, tuttavia, solo apparente.
“Ha capito le cose prima. Ha compreso che la televisione stava cambiando…“, spiega il figlio, Massimiliano Pani. Già, Pani. Un cognome che porta insito il peso di una scomunica. L’Osservatore Romano la dichiarò, a suo tempo, pubblica peccatrice. La Rai – era il 1963 – la esiliò per un anno. Anna Maria ne aveva, allora, appena 23. Fino a quel momento, l’ufo formato famiglia piaceva anche ai genitori. Di lei si elogiava il fatto che, nonostante la notorietà, fosse ‘perbene’. “Finché… il fattaccio. A noi ragazzi la sua audacia faceva battere il cuore, ma i genitori si sentirono traditi“, testimonia Barbara Alberti. “Un figlio, senza sposarsi. Ed in più dicendolo, senza nascondersi“, insiste la scrittrice.
Un ostracismo che, pagato in prima persona, ha contribuito, forse, a renderla ancora più amata.
ECLETTICA MINA
Parla, canta, conduce, Anna Maria Mazzini. Dovrebbe fare da spalla ad assi del calibro di Gassman, Bramieri, De Sica, Chiari, Manfredi, Tognazzi… ma spalla non è. Si destreggia senza ombre tra Celentano e Gaber. Del resto, lei è Mina, Minona, per dirla alla Sordi: “Una fagottata di roba!“
Dice no, con spensieratezza, alle proposte di Coppola e Fellini, che la vogliono per il Cinema. La stessa con cui a Sinatra preferisce, per duettare, Fiorello. Va dritta, incurante delle critiche, prendendosi gioco dei suoi detrattori e di chi la vorrebbe, a tutti i costi, intellettuale.”Io leggo esclusivamente paperino“, ammette, candida, al microfono di Mario Soldati, e lo ripete, in seguito, ad Oriana Fallaci: “Non ho tempo per leggere“.
AUDACE MINA
La ragazza della porta accanto, tipica bellezza della Val Padana, studia ragioneria ma molla al quarto anno. Vuole cantare, lei. E canta, prima tra le fila degli ‘Urlatori‘, poi a Sanremo, nel 1961. Le mille bolle blu si trasforma nel suo primo atto cubista.
Scippa Grande grande Grande all’ugola di Milva e Ornella Vanoni, scalando la classifica, fino a fare del 45 giri il più venduto dell’anno, superando persino Immagine, di John Lennon.
Interpreta Battisti, ma non rinuncia allo sfizio di farsi scrivere testi da Brizzi, Afterhours, Negramaro. “Buttame du’ scarti“, chiede a Giuliano Sangiorgi. Dà scandalo, nel 1975, con L’importante è finire. Si ripete tre anni dopo, nel ’78, con Ancora ancora ancora. Eppure, questa sorta di Edit Piaf del Bel Paese non si rende mai ridicola, mai patetica, mai imbarazzante. Ha il pieno controllo. Mina sa. Sa come comunicare. Sa ciò che dice e il modo in cui lo dice. Lei è corpo, prima ancora che voce.
E la ginnasta delle corde vocali si erge, ben presto, ad icona gay.
La idolatrano le Drag Queen, che ne vedono una continua sfida all’identità. Non si traveste, del resto, la Tigre di Cremona, ma dà conto, a chi ne è spettatore, della propria metamorfosi.
IRRIVERENTE, DISSACRANTE, DIVERTENTE MINA
Arriva poi l’era dei traghettatori. Mauro Balletti, Gianni Ronco e Stefano Anselmo ricoprono l’illustre ruolo di trait d’union tra Mina e i suoi fan. E’ un lavoro da emanuensi il loro, quando ancora photoshop era solo utopia. Inizia così, grazie al trio, una sontuosa operazione Pop, che trasforma La Signora Mazzini nell’avatar di se stessa.
Poliedrica, Mina è la Gioconda, viene frammentata come un quadro di Picasso. E’ un’aliena, un palestrato. Ha la barba, poi è un cartoon… Sulla copertina di Caterpillar si fa invadente come una figura di Botero. L’immagine è la smaccata propagazione di un cervello sempre acceso, perennemente irrequieto, mentre il volto, con ironica, si fa luogo dell’arte.
NON GIOCO PIU’
“Quando lavoro dal vivo devo superare un trauma che è ogni volta più grave ed insuperabile. Ogni volta mi chiedo se veramente ne vale la pena o no e poi questo mostrarmi così, è una cosa che non mi è mai piaciuta. Anche all’inizio, mi vergognavo molto. Non gliene frega niente a nessuno se canto bene o se canto male. Se non canto, addirittura, o se scrivo a macchina. Mi vogliono vedere e basta, per controllare come ho i capelli, se sono grassa o sono magra, se ho gli anelli, se non ho gli anelli, cosa ho negli occhi… capito? Non mi va di stare a questo gioco, più!“… disse la ragazza nata a Busto Arsizio. E il sipario, ad un tratto, si chiuse.
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