Mali di ieri… ai nostri giorni
Quarantena. Vale a dire contumacia. Meglio sarebbe dire l’isolamento forzato, solitamente utilizzato per arginare la diffusione di uno stato pericoloso (una malattia infettiva, ad esempio). Quaranta giorni, per l’appunto, in cui gli interessati vengono mantenuti a debita distanza da altri soggetti, potenzialmente suscettibili, al fine di evitarne il contagio.
La durata tipica – per chi non ne fosse al corrente – del particolare trattamento a cui venivano sottoposte le navi provenienti da zone colpite dalla peste, nel XIV secolo.
Una storia iniziata parecchio tempo fa…
Parlarne oggi suona pressoché scontato, eppure la parola ha origini assai antiche. Bisogna voltare la testa e indietreggiare di circa 600 anni, per ricavarne le radici. Una misura estrema – per intenderci – adottata per proteggere i cittadini dalla peste bubbonica. E come non sfruttare, in un territorio composto espressamente da isolotti, la sede del Lazzaretto Nuovo di Venezia?
Fu la prima, la Città marinara, ad emanare una serie di provvedimenti per limitare il diffondersi del ‘male oscuro‘, nominando tre tutori della salute pubblica. Era il 1347. A questa, fece seguito Reggio Emilia, nel 1374.
E se la prima zona di confino fu fondata nel 1403, le fece eco, nel 1467, quella di Genova. Nel 1476, poi, il vecchio ospedale per lebbrosi di Marsiglia fu convertito in sede per gli appestati. Forse, quest’ultimo, il più completo nel suo genere.
La Laguna, spiegano gli esperti, “è stata la prima ad adottare il sistema dell’isolamento. Sfruttare – cioè – le isole e le caratteristiche del proprio territorio, formato da un arcipelago”.
Testimonianze intatte nei secoli…
Nel 1400, le navi, le merci e gli equipaggi in arrivo da est dovevano isolarsi, prima di proseguire in direzione della terraferma, spiega Gerolamo Fazzini, Presidente dell’Archeoclub di Venezia, Associazione Custode del Lazzaretto. Ricevevano in dotazione, in sintesi, una sistemazione e un magazzino, dove riporre le mercanzie. Alcuni hanno lasciato persino traccia di sé sui muri del rispettivo soggiorno. Migliaia di persone, che hanno trascorso settimane in completa solitudine.
“Sono meravigliosi scritti e disegni di navi, che testimoniano il trasporto marittimo in arrivo al Lazzaretto. Quando le galee veneziane provenienti dall’Oriente arrivavano a Venezia, sia le merci sia gli equipaggi sarebbero rimasti qui per un periodo di circa 40 giorni. Da ciò deriva la parola quarantena“, sottolinea – come si accennava – Francesca Malagnini, docente di Linguistica italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia.
Una situazione nient’affatto incognita, viste le condizioni che si ripropongono in questi giorni estremamente bui ma che, con sé, riescono a conservare financo il richiamo della tradizione.
Addirittura, l’abito carnevalesco del medico della peste prende le mosse dall’abbigliamento adottato dai dottori del tempo, per proteggersi dall’implacabile infezione. Eredità dei giorni in cui non esisteva cura comprende, quest’ultimo, una tunica nera lunga fino alle caviglie, guanti, scarpe, bastone, cappello a tesa larga e, punto di forza, una maschera dotata di becco, scrigno segreto per essenze aromatiche e paglia, che agivano da filtro e che avrebbero dovuto (secondo le credenze specifiche dell’epoca) impedire il passaggio degli agenti infettanti.
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