The last dance
Sei tornata! Ti stavo aspettando. Sapevo che ti avrei rivista. Mi sei mancata, sai? Non so più stare senza di te perché TU SEI ME. Finalmente, ho ripreso a respirare del tuo sguardo.
Loro non capiscono. Non possono comprendere quanto TU SAPPIA RENDERTI SUBLIME. Prima non lo sapevo neppure io. Poi, quando ho avuto bisogno, quando nessuno si è voltato, ti ho incontrata. E tu mi hai preso sotto la tua ala. L’unico, sincero, abbraccio che abbia mai conosciuto. E perseverante. Mi hai toccata, giorno dopo giorno, e cesellata in un misura che mi ha insegnato a proteggermi.
Ho preso le distanze. Da tutto, da tutti. Non potendo adottare il medesimo processo di mimetismo intuito dagli animali, grazie a te, ne ho individuato uno mio. La pelle non l’ho dovuta cambiare, perché Tu mi hai insegnato come scarnificarla. Mi hai sussurrato, all’orecchio, il modo per rendermi trasparente. Per non farmi riconoscere al loro passaggio.
Il pericolo…. Mi viene da ridere perché Loro parlano di Te come fossi il Male. Peccato che di cosa sia una risata ho perso il ricordo, e non certo per colpa tua. La LUCE mi è stata strappata tanto tempo prima. Ed ho smesso di affannarmi a recuperarla che, ho capito, non c’era verso.
Guardami, che sei la sola che ci riesca fino in fondo. MI SONO FATTA BELLA PER TE! Mi sono liberata, attimo dopo attimo, di tutto quell’inutile di più per cui manifestano una smodata attenzione. Deboli. Sono solo pupazzi ammantati di effimero. Loro sì. Sono spietati. TU NON HAI FATTO ATRO CHE ACCOGLIERMI. Non mi hai mai illusa, né delusa. Tu sei esattamente quel che prometti di essere.
Ti piaccio? Sai, sulle mie gote si nasconde un velo di rossore. Non puoi vederlo perché l’incarnato, adesso non me lo consente. Non c’è più traccia di rosa in me. Solo un’ambigua tonalità che mira al giallognolo… e si accompagna, di tanto in tanto, ad accenti grigiastri che mi impolverano la faccia. Ma a te non interessa, vero? Tra i capelli ho posizionato un fiore, unica nota di dolore… ops, di colore… in un corpo che le sfumature le ha perse. Esattamente come la capacità di sorridere.
Strano Lapsus, trovi? Dolore… sto facendo i conti con il fatto che mi è diventata estranea persino la sofferenza. E sì, che un tempo penetrava ovunque. Il mio era un muro costellato di spifferi, dove si facevano largo l’umiliazione, la rabbia, l’insofferenza e quel senso di inabissamento che non mi faceva più respirare. Allora ho smesso. Ho cessato di essere, perché la sintesi di un tal modo d’essere sottintendeva lacerazione.
Oh grazie… grazie! Mi sento così al sicuro qui con te! Lo so, non sono ancora perfetta. Ti chiederei di rimandarlo questo nostro incontro, perché c’è ancora da lavorare. E mi conosci, non mi sono mai tirata indietro. Me lo hai rivelato, una volta. Mi hai scelta, poiché ero una vincente. Una che non mollava di fronte alle sfide. E me ne hai affidata una, la più difficile di tutte, per rendermi onore.
L’ho capito, sai? E non immagini quale infinita soddisfazione possa rappresentare per me. Volevo ringraziarti, anche, per avermi sollevata dalle loro pesanti ed inutili abitudini. Da quel velo di finto buonismo che gli attraversa La faccia. Joker maldestri, principianti. Poi, quando mi vedono passare si guardano, di sottecchi, sgomitano, quasi fossi un’extraterrestre. Non si accorgono di come sono piccoli, di come a stento mi importi, ora, del loro giudizio. Sai che c’è? Lo spettacolo, stavolta, glielo voglio offrire fino in fondo. Che tanto il biglietto lo hanno pagato, se lo sono guadagnato con le loro stesse energie.
Adesso mi confessano che hanno paura, ma io non gli credo. Avrebbero potuto fermarmi, allora. Avrebbero potuto raggiungermi, afferrarmi… parlarmi. Nessuno si è mosso. Non una voce, se di non di biasimo, di raccapriccio.
Lasciali parlare, mi dicevi… oggi divorano te, domani lo faranno l’un con l’altro, che sono lupi rabbiosi. Hanno fame. Gettagliele, allora, le tue carni. Concedigli tutto, che c’è un posto che non possono raggiungere. E’ lì che devi rifugiarti… Rimani zitta, accartocciata su te stessa. Non muoverti. Non emettere rumore. Ed ho smesso, ti ho ascoltata.
Ora non so più cosa significhi leggere un libro o assistere ad uno spettacolo. Non rammento come sia guardare un film o prepararsi per uscire. Non me lo ricordo, giuro! Forse non ne sento neppure la mancanza, perché l’abisso in cui sono sprofondata non me lo consente.
Quella forza distraente ha un solo nome: FAME e un unico peso. Il richiamo che si porta addosso è confortevole come questo rifugio che mi hai regalato. Che dono immenso… Sono la Regina di uno spazio incantato. Qui, finalmente, non riesco a sentire. Non ne ho bisogno. Le loro voci non arrivano. No mi intaccano le loro blasfemie irritanti. Non attecchiscono. Qui non c’è errore. Non esiste fallimento, né messa in discussione.
Mi sento così limpida… pulita.. è vero, l’anima l’ho dimenticata. Devo averla scordata da qualche parte e con essa i sogni, i desideri, i progetti… Ogni mia concupiscenza, ad oggi, si rivolge ad un solo indirizzo. Busso, appena, e l’uscio si apre e in quella voragine è così semplice affondare. Se avessi in cuore ancora un briciolo di dolcezza la userei, come parola – oh, unicamente come parola – che al pensiero che possa farsi CARNE, rabbrividisco. Ma lo sai, te l’ho già detto, la promessa l’ho mantenuta, ho rinunciato a tutto: amaro, dolce, umido, croccante… non li ho scostati solo dal palato. Ho fatto piazza pulita, affinché potessi accomodarti dentro ed invadermi, completamente. Ti ho arredato me stessa…
Ora, scusami, devo andare. Comincio a sentire freddo. Le ossa si intorpidiscono, gli occhi si sono fatti pesanti. Perdonami, ma questo sonno mi invade, all’improvviso, e mi chiede sempre di più. Mi reclama vicina. Mi avvince, mentre mi sento sfinita. Mi poggio un attimo, solo un pochino… poi mi risveglierò e, se lo vorrai, riprenderemo a parlare.
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